“Droga in mano ai Carateddi” |120 anni per il gruppo di Bonaccorsi

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07 Marzo 2015, 12:49

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CATANIA – 20 anni di carcere per Alessandro Bonaccorsi. E’ stata confermata in appello la dura condanna inflitta al termine del processo in abbreviato per il reggente di un gruppo di trafficanti di droga del clan Cappello Carateddi. I giudici della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania hanno emesso una sentenza che ricalca quasi in toto quella del Gup Monaco Crea. 20 anni per Alessandro Bonaccorsi e Giovanni Musumeci, 8 anni e 8 mesi per la moglie di Bonaccorsi, Bruna Strano. Rideterminata la pena per Salvatore Bonvegna che da 15 anni passa a 14 anni. 7 anni e 4 mesi per Maurizio Bonsignore. E’ di 10 anni e 5 mesi invece la condanna per Salvatore Bracciolano, 13 anni di carcere per Paolo Ferrara, 8 anni e 4 mesi per Marco Rapisarda, 9 anni e sei mesi per Scrivano Robertino e 7 anni e 4 mesi per Marco Strano. Stessa condanna di primo grado anche per Concetto Bonvegna.

Inoltre la Corte d’Appello ha revocato il sequestro dei gioielli a Bruna Strano disponendone la restituzione, 120 preziosi del valore erano stati sequestrati dalla Squadra Mobile durante un blitz a casa della moglie del Bonaccorsi, in quella stessa retata erano stati trovati quasi 400 mila euro in contanti nascosti in un cassetto creato ad arte e mimetizzato in una credenza (IL TESORO DEL BOSS).

Il difensore di Alessandro Bonaccorsi, l’avvocato Giuseppe Rapisarda, ha sempre ribadito che “non ci sono prove concrete dell’affiliazione di Alessandro Bonaccorsi alla cosca Cappello Carateddi”. In attesa del deposito delle motivazioni da parte della Corte, si prospetta il ricorso in Cassazione per l’ultimo grado di giudizio. Prosegue intanto il troncone del rito ordinario che vede alla sbarra otto persone, tra queste il boss Orazio Finocchiaro.

L’INCHIESTA – Furono arrestati in 20 a luglio del 2012. La Squadra Mobile di Antonio Salvago aveva ricostruito l’intera rete organizzativa che era stata creata da Alessandro Bonaccorsi al fine di gestire le fiorenti piazze di spaccio di San Cristoforo, da anni in mano al clan Cappello – Carateddi. L’indagine si sviluppò dal filone Revenge; la polizia con il coordinamento della Dda di Catania, ha monitorato i movimenti della cosca che si stava riassestando dopo che i vertici, tra cui il capo Sebastiano Lo Giudice, erano finiti in carcere. Un momento di destabilizzazione di cui voleva approfittare, forse, il clan Santapaola che iniziò a interessarsi alle piazze di spaccio dei Carateddi. Uno scossone che non durò molto: nel 2010 tra le due famiglie fu trovata un’intesa e fu ristabilito l’equilibrio. Con Sebastiano Lo Giudice e i vertici in carcere, i Carateddi si erano trovati senza capo.

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Alessandro Bonaccorsi tentò allora la strada dei domiciliari per tornare a gestire il fiorente traffico di droga. Un caso quello del detenuto affetto da pancreatite per una ferita da arma da fuoco su cui ha acceso i riflettori anche la stampa locale: negli atti del processo infatti finiscono due articoli datati 19 giugno 2010 e 26 giugno 2010 che gridavano allo scandalo per il mancato accoglimento della misura alternativa alla reclusione. “Una campagna di stampa” – così la chiamò il pm nella sua requisitoria del processo di primo grado – a cui si sarebbe aggiunta anche “il favore di un medico”.

La moglie, che secondo gli inquirenti, avrebbe contattato la dirigente del Vittorio Emanuele Maria Costanzo (che qualche mese fa è deceduta) per poter “falsificare” le perizie e, dunque, documentare che lo stato di salute del marito  non era più compatibile con la detenzione in carcere. Il piano era stato preparato, ma poi fallì. (L’INTERCETTAZIONE).

Ai vertici del gruppo di trafficanti anche Giovanni Musumeci (condannato a 20 anni) è transitato nei Caratteddi tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010. Faceva parte del gruppo Santapaoliano di Turi Amato. Musumeci ritenuto uno dei killer dell’omicidio Tucci, (delitto di cui è accusato nel processo Revenge 3) secondo l’accusa, avrebbe gestito le piazze di spaccio di Lo Giudice. Anche Marco Rapisarda sarebbe di recente affiliazione al Clan. Stesso ruolo per Salvatore Bonvegna (detto Turi Do Locu) e Paolo Ferrara. Di quest’ultimo non era contento Orazio Finocchiaro: in una lettera indirizzata alla madre ma letta a casa di Giovanni Musumeci, dove erano installate le cimici,  il boss evidenzia la sua insoddisfazione sulla gestione delle piazze di spaccio, quindi ordinava di sostituirlo con un altra persona.

L’aspetto “interessante” di questa inchiesta è il ruolo delle donne all’interno dell’organizzazione. Donne sempre più manager del gruppo criminale, che facendo da cerniera tra il carcere e l’esterno, dietro le direttive dei mariti e dei parenti assumevano il controllo organizzativo e soprattutto contabile degli affari.

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07 Marzo 2015, 12:49

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