14 Aprile 2018, 06:05
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CATANIA. Potrebbe arrivare lunedì prossimo la sentenza del processo in abbreviato scaturito dall’operazione antidroga Bingo, condotta dai carabinieri della Compagnia di Giarre nel febbraio dello scorso anno. Davanti al gup di Catania Anna Maria Cristaldi discuterà Salvo Pappalardo, codifensore insieme ad Enzo Iofrida di Alessandro Liotta, considerato dalla Procura di Catania il capo promotore della presunta associazione dedita al traffico di stupefacenti. Per lui il pubblico ministero Fabrizio Aliotta ha chiesto una condanna a 13 anni e 8 mesi. Sono 11 invece gli anni di reclusione chiesti per Fabio Alfio Pagano, 10 anni e 8 mesi per Tiziano Russo, 10 anni per Salvatore Platania, 7 anni e 4 mesi per Salvo Calì, 7 anni per Alfio Bonarrigo e, infine, 6 anni e 8 mesi per Giuseppe Biondi e Leonardo Cardillo.
LE DIFESE. Non ci sarebbero elementi di prova sufficienti a dimostrare la sussistenza di un’associazione finalizzata allo spaccio. Su questo punto in particolare si sono focalizzati i difensori degli otto imputati. Troppo ridotti i tempi di attività contestati per poter parlare di un’organizzazione stabile, per lo più suddivisa in due sotto gruppi. Per l’avvocato Enzo Iofrida, inoltre, non ci sarebbe prova che i venti chili di marijuana sequestrati in un garage di via Settembrini a Giarre fossero stati acquistati, come contestato dall’accusa, da Alessandro Liotta. A riprova di ciò, ha evidenziato il legale, il fatto che il proprio assistito non fosse a conoscenza, come dimostrato da un’intercettazione, né del reale costo dell’acquisto né del mancato guadagno causato dal sequestro della sostanza. Nulla di quanto emerso nel corso delle indagini dimostrerebbe che Liotta fosse a conoscenza dell’esistenza di quel garage. Contestate anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Alessio Baglione, Giuseppe Liotta e Sebastiano Alberto Spampinato. Mancherebbero i necessari riscontri alle loro accuse.
Sull’assenza dei gravi indizi di colpevolezza e dei necessari riscontri alle accuse mosse si è concentrata anche l’arringa di Gabriella Gennaro, difensore di fiducia di Fabio Alfio Pagano. Nemmeno le dichiarazioni dei pentiti sarebbero state suffragate dai necessari riscontri. Il legale Salvo Leotta, difensore di fiducia di Salvatore Platania, ha evidenziato la pronuncia del tribunale del Riesame, che aveva annullato l’ordinanza per l’assenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione dell’imputato alla presunta associazione. Per Leotta mancherebbero anche i necessari riscontri, non compiuti dagli investigatori, sui singoli episodi di spaccio contestati. Le accuse di cessione di droga si fonderebbero sui rumori di carta captati nel corso delle intercettazioni. Nessuna prova certa ci sarebbe dell’avvenuta compravendita. Infine, ha sottolineato il legale, nessuno dei collaboratori di giustizia avrebbe mai fatto il nome di Platania, a testimonianza che il proprio assistito non avrebbe avuto alcun ruolo, per lo più di rilievo, all’interno di nessuna associazione.
Anche Ernesto Pino e Massimo Monastra, avvocati di Leonardo Cardillo, hanno escluso, come già evidenziato dal tribunale del Riesame, che le condotte contestate al proprio assistito integrino il reato di associazione. Nessuno dei pentiti, inoltre, ha mai nominato l’imputato e ciò dimostrerebbe inequivocabilmente l’estraneità di Cardillo rispetto alle contestazioni della Procura. Infine secondo Claudio Grassi, difensore di fiducia di Giuseppe Biondi e Tiziano Russo, le intercettazioni non dimostrerebbero l’esistenza di nessuna organizzazione. Mancherebbero inoltre le necessarie verifiche agli episodi di spaccio contestati dagli inquirenti.
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14 Aprile 2018, 06:05