Traffico di droga nell’asse Spagna – Napoli – Catania |15 arresti e 2 ricercati, nel mirino il Clan Cappello

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29 Maggio 2013, 08:05

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CATANIA – La droga è l’affare che ha fatto diventare il Clan Cappello uno dei più potenti tra le organizzazioni mafiose catanesi. Lo spaccio di cocaina, infatti, portava all’organizzazione ingenti guadagni: e il potere in questi ultimi anni hanno dimostrato diverse inchieste lo detiene chi ha il denaro. L’operazione Bisonte 2 eseguita oggi dalla Squadra mobile di Catania, con il coordinamento della Direzione Distrettuale di Catania guidata da Giovanni Salvi, ha disegnato nei dettagli la mappa dei canali di approvvigionamento della droga, ricostruendo i contatti, le comunicazioni e i metodi di trasporto che dalla Spagna, passando per Napoli, faceva arrivare i carichi di stupefacente.

Un’inchiesta che abbraccia un arco temporale che va da marzo 2009 allo stesso mese del 2010 e permette di individuare i nomi degli organizzatori e i corrieri napoletani che rifornivano il Clan Cappello. Le indagini vengono avviate dopo le dichiarazioni di Vincenzo Fiorentino che indica i due responsabili della cosca per la gestione delle forniture della droga: Antonio Aurichella e Gaetano D’Aquino (oggi collaboratore di giustizia) che avevano preso il posto di Sebastiano Fichera, ucciso in un agguato di mafia. Fiorentino mette la pulce nell’orecchio agli inquirenti: la cocaina sarebbe acquistata a Napoli. La Dda dispone l’attivazione di alcune intercettazioni che portano al completamento di un quadro dettagliato di come le partite di cocaina arrivassero dalla Spagna attraverso dei corrieri napoletani nelle mani dei Cappello.

La Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione dei colleghi di Napoli, Caserta, Modena e Perugia, hanno eseguito un’ordinanza nei confronti di 17 persone (2 persone risultano allo stato irreperibili): da una parte i catanesi che compravano la droga e dall’altra i corrieri napoletani che rifornivano l’organizzazione mafiosa. I destinatari del provvedimento emesso dal Gip di Catania sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per i catanesi Antonio Aurichella (già detenuto), Domenico e Santo Querulo è contestato l’aggravante dell’aver favorito il clan Cappello – Bonaccorsi.

I ruoli nell’organizzazione erano ben definiti: Antonio Aurichella gestiva i contatti con i napoletani, che periodicamente inviavano diverse partite di cocaina, gli ordini avvenivano attraverso lo scambio di sms “criptati”,  i rapporti erano “curati” anche dal coinvolgimento di una donna.  Lo stratagemma dei messaggi inviati dai cellulari era stato ideato per evitare le intercettazione telefoniche in quanto la polizia giudiziari che ascoltava le conversazioni poteva riconoscerli attraverso e voci, essendo molti degli indagati conosciuti dalle forze dell’ordine.  Il codice di linguaggio era di tipo amoroso: si inscenavano scambi di sms affettuosi tra amanti o tra coniugi: per fissare l’appuntamento si scriveva:  “Quando ci vediamo, amore?”, “Arriverò domani, tesoro”. “Ma con te ci sarà tua sorella?”, nel contenuto veniva inserito anche il possibile ammontare del carico e dell’importo da pagare per la partita di cocania, molti i passaggi con termini prettamente del dialetto napoletano, di aiuto è stato sicuramente l’origine partenopea di Pasquale Pacifico, uno dei titolari insieme a Tiziana Laudani dell’inchiesta.

L’equilibrio della macchina si rompe quando la Squadra Mobile il 18 giugno del 2009 sequestra una partita di 30 chilogrammi di cocaina, insieme a 4 semiautomatiche, nascosti in un sottofondo di un tir bloccato al Casello di San Gregorio. In quell’occasione viene arrestato in flagranza il corriere napoletano Rocco Saverio Lo Sasso, detto Malboro. L’operazione Bisonte (chiamata così per il marchio inciso nei panetti di cocaina) porta al fermo anche di Antonio Aurichella, e dei partenopei Federico Sepe e Antonio Carbone che vengono trovati in possesso delle utenze cellulari controllate dagli inquirenti e che avevano portato proprio a rintracciare il carico di droga proveniente da Napoli. Lo Sasso alcune settimane prima del sequestro era stato pedinato dalla polizia durante una sua trasferta a Catania, per gli investigatori era stata consegnata un’altra partita di droga.

Con Aurichella in carcere il clan si riorganizza e la gestione del rifornimento di cocaina viene affidata ai fratelli Santo e Domenico Querulo. Da Napoli i punti di riferimento sono Antonio Carbone e uno dei ricercati (tutti riferenti al gruppo dei Marano, scissionista degli Scampia): l’attività di intelligence porta a stabilire, con certezza quasi matematica, che dal 22 ottobre 2009 a marzo 2010 Carbone si era recato in Spagna per concludere le trattative per l’acquisto della droga venduta poi alla cosca Cappello.

Lo “scherzetto” della squadra mobile non provoca problemi solo a livello organizzativo ma anche di pagamento: a Catania, uno dei due ricercati, invia Giampaolo Chianese con il compito di recuperare le somme relative alla droga sequestrata, ma anche a un’altra partita di cocaina consegnata 15 giorni prima. Chianese durante il suo soggiorno a Catania – emerge dalle intercettazioni di diversi sms “criptati” inviati a sodali della consorteria napoletana – riesce a incontrare membri del  clan Cappello, a cui lascia un nuovo telefono “citofono” per ristabilire i contatti,  “garantendo” la continuazione del loro legame d’affari nonostante il “fuori programma”, i Caratteddi dal canto loro assicurano il pagamento della merce, nonostante sia andata persa.

Su questo punto le indagini portano alla scoperta che il danno fu suddiviso tra le due organizzazioni: 600 mila euro a carico dei Cappello e l’altra metà doveva gravare sulle spalle dei corrieri napoletani. Il prezzo della droga viene fissato tra i 42- 43 mila euro al kg: l’accordo prevede di portare la droga direttamente dalla Spagna senza passare da Napoli, per evitare di pagare i cartelli imposti dalla camorra campana.

Al forte quadro probatorio che fotografa con dovizia di particolari i canali del traffico di droga sull’asse Spagna, Napoli e Catania si aggiunge anche il rapporto (appurato da una serie di intercettazioni) tra uno dei ricercati e una donna ispanica, che si ipotizza incontrasse durante le sue trasferte nella penisola iberica.

La famiglia napoletana, emerge dalle indagini, è dipendente a livello finanziario dal legame d’affari con il Clan dei Caratteddi principale acquirente della droga proveniente dalla Spagna. In un’intercettazione l’uomo invia un sms proprio il giorno dopo il blitz Revenge, che fa scattare a ottobre del 2009 quasi 50 arresti tra affiliati del gruppo, manifestando preoccupazione del possibile coinvolgimento degli interlocutori. Un’ipotesi che si tramuta in realtà in quanto finisce in carcere il loro punto di contatto con il clan Gaetano D’Aquino, che dopo deciderà di collaborare con la magistratura.

Dall’uscita di scena di D’Aquino a gestire il traffico di stupefacenti secondo gli investigatori sono i fratelli Querulo, che utilizzano Giuseppe Bosco per finanziare gli investimenti illeciti. Proprio a casa di Bosco, figlio di un imprenditore catanese, oggi nel corso del suo arresto, la squadra mobile ha rinvenuto e sequestrato 1,620 chili di cocaina e 42.965 euro, che gli inquirenti reputano essere frutto del traffico di droga.

Il 17 dicembre 2009 arriva un altro carico di cocaina, il corriere inviato da Carbone a Catania è Giuseppe Soriato, che fermato dalla Squadra Mobile viene trovato in possesso di 6 chili di droga, una parte nascosta all’interno della ruota di scorta di una Toyota parcheggiata a San Cristoforo, proprio sotto l’appartamento dove era ospitato durante la trasferta a Catania e dove era depositato il resto dello stupefacente.

 

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29 Maggio 2013, 08:05

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