12 Aprile 2024, 16:15
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PALERMO – Creduti dall’accusa e dal Tribunale di Trapani in primo grado, inattendibili per la Corte di appello di Palermo. È soprattutto la diversa valutazione sui collaboratori di giustizia ad avere convinto i giudici di secondo grado a dissequestrare il patrimonio di Carmelo Patti e restituirlo ai parenti del defunto patron della Valtur.
I suoi guai giudiziari sono iniziati con il fallimento delle imprese. Il primo processo fu per bancarotta post fallimentare. Poi seguì quello per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali. A cascata arrivarono le indagini per gli interessi mafiosi nelle sue imprese, l’imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa e per il riciclaggio aggravato connesso all’acquisto del villaggio turistico di Favignana. Patti è sempre stato assolto o la sua posizione archiviata, ma i sospetti erano bastati per fare scattare la confisca in sede di misure di prevenzione.
Ad accusarlo era stato soprattutto Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra. Raccontò di avere conosciuto Carmelo Patti nel corso di una riunione, tra il 1989 e il 1990, nella casa di campagna di Filippo Guttaduro, il cognato di Matteo Messina Denaro. Erano presenti il padre di quest’ultimo, don Ciccio Messina Denaro, e Francesco Messina. Pezzi da novanta della mafia trapanese.
Nel corso di quell’incontro si parlò dei tanti soldi che Patti aveva fatto guadagnare alla famiglia mafiosa di Castelvetrano con la sua attività nel settore del cablaggio, ma anche della società con i boss nella gestione di villaggi turistici.
I cablaggi furono la sua prima attività, concentrata fino al 1991 nel Nord Italia e in Campania. L’impresa di Patti, la Cablelettra, lavorava per Fiat ed Alfa Romeo. Carmelo Patti sbarca in Sicilia quando la casa torinese decise di affidargli anche le commesse che provenivano da Termini Imerese. O meglio il suo fu un ritorno nella terra di origine.
Un altro pentito, Nino Giuffrè, capomafia di Caccamo, aggiunse di avere saputo che Bernardo Provenzano avesse la pena disponibilità della Valtur tanto da consentire ai suoi fedelissimi, fra cui il boss di Trabia Salvatore Rinella, di trascorrere le vacanze nel villaggio Valtur di Pollina.
C’erano poi alcuni affari con Michele Alagna, fratello di Franca, la donna che ha reso Matteo Messina Denaro padre di Lorenza, la donna che ha deciso di prendere il cognome paterno poco prima che il capomafia morisse. Sul punto la Corte di appello presieduta da Giacomo Montalbano scrive nel decreto di dissequestro che sul conto di Alagna “non risulta essere stato mai neppure sottoposto a indagini con l’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa”.
In ogni caso se “la vicinanza familiare tra Michele Alagna e Matteo Messina Denaro fosse stata ritenuta rilevante ai fini della dimostrazione della pericolosità sociale qualificata di Carmelo Patti sarebbe stato onere delle autorità proponente approfondire la questione della collocazione temporale dei rapporti tra Messina Denaro e Alagna”. Tenuto conto della “evidente distanza cronologica tra il 1991, anno in cui iniziano i rapporti fiduciari tra Alagna e Carmelo Patti, e il 1996 anno in cui Franca Alagna partorisce la figlia Lorenza”.
Sulle dichiarazioni di Siino i giudici ricordano che le imprese di cablaggi di Patti hanno lavorato fra il ’93 e il ’97 “ossia in un lasso di tempo distinto e successivo a quello al quale Siino colloca la riunione presso la casa di campagna”. Potrebbe avere avuto un cattivo ricordo? No, secondo la Corte di appello, visto che Siino fu arrestato nel 1991.
Siino ha anche parlato dell’interessamento di Patti per realizzare la galleria di Favignana che serviva a raggiungere il villaggio Valtur. Aveva ricevuto una confidenza da un mafioso. Impossibile, spiega il collegio, visto che il villaggio è stato venduto nel 1998, in un periodo in cui Siino era già diventato un collaboratore di giustizia. Ecco perché la Corte definisce quelle del collaboratore “dichiarazioni destituite di fondamento”.
Come “generiche” e “imprecise” sono state bollate quelle di Giuffrè che non riuscì a spiegare chi gli avesse detto dell’amicizia fra Patti e Provenzano. “Certo da qualche parte mi è arrivata”, disse.
Curiosa la vicenda di un altro collaboratore, Marcello Fondacaro. Gli chiesero di descrivere Michele Alagna: “Alto, magro, con pochi capelli, baffi e occhiali”. Alagna era in aula e lo fecero alzare in piedi. Il presidente fece notare che “ha tutti i capelli, certo non è altissimo ed ha pure un poco di pancia. È passato del tempo, può essersi anche appesantito, ma certo i capelli non possono essergli cresciuti e poi non porta gli occhiali”.
Per effetto della sentenza è stata revocata la confisca di una sfilza di società, la gran parte delle quali in stato di insolvenza o in liquidazione (molte rientravano nell’originario fallimento, così come chiesto dagli avvocati Francesco Bertorotta, Roberto Tricoli, Raffaele Bonsignore, Angelo Mangione, Marco Antonio Dal Ben e Giuseppe Carteni: “Cablelettra” Vigevano, “Cablacar” Vigevano, “Immobiliare Milano 5”, Scv Tunisia, “Cable International” Lussemburgo, “Ponti e struttura Sardegna” Milano, “Multicasa 1” Milano, “Valtur Resort” Milano, “Giraudi” Milano, “Villaggio degli atleti” Milano, “Villaggio di Ostuni” Milano, “Villaggio di Marilleva srl” Milano, “Vedette viaggi” Milano, “Vimec srl” Vigevano, “Logistic center” Vigevano, “Castel Gandolfo spa” Milano, “Holding turistica italiana” Vigevano, “Olio&olive srl” Castelvetrano, “Sicav” Milano, “Società immobiliare M.M.” Firenze. Ed anche un centinaio fra fabbricati e terreni.
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