Trattativa, la parola a Riccio |”Io, Ilardo e Provenzano”

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05 Novembre 2015, 19:59

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PALERMO – Tutto, apparentemente, va avanti come se nulla fosse accaduto. Dopo la decisione del gup di Palermo di assolvere l’ex ministro Dc Calogero Mannino dall’accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, il dibattimento principale, che racconta del patto che politici ed ex ufficiali dei carabinieri del Ros avrebbero stretto con Cosa nostra, anche grazie alla mediazione dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, riprende il suo corso.

E in aula, davanti alla corte d’assise di Palermo, depone Michele Riccio, da anni grande accusatore di uno degli imputati: il generale dei carabinieri Mario Mori. Che i pm, tutti presenti in aula, non abbiano intenzione di fare un passo indietro si vede subito quando Nino Di Matteo comunica che la Procura ha chiesto l’archiviazione dell’indagine su Riccio sollecitata dal tribunale che scagionò Mori dall’accusa di avere favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano. Allora i giudici ritennero che il teste poteva avere commesso il reato di falsa testimonianza.

Valutazione evidentemente non condivisa dai magistrati dell’accusa che sono tornati a citarlo e non hanno ritenuto di dover procedere contro di lui. Riccio, la cui attendibilità, dunque, non è messa in dubbio dai pm, torna a raccontare quel che già ha detto al processo Mori: e cioè le confidenze ricevute dal capomafia nisseno Luigi Ilardo, suo confidente ucciso prima di formalizzare la collaborazione con la giustizia, che, a dire dell’ufficiale, nel 1995 lo portò a un passo dalla cattura di Provenzano. Allora, ripete il testimone, con pretesti vari, i carabinieri del Ros non diedero seguito alle rivelazioni di Ilardo che, pure, aveva fornito la descrizione di uno dei covi in cui il padrino corleonese organizzava i suoi summit e indicazioni precise sui favoreggiatori.

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I militari non solo non organizzarono il blitz, ma non approfondirono nemmeno gli spunti forniti dal confidente che, poco dopo, venne eliminato. Fatti che, secondo l’accusa, provano che il Ros, proprio nell’ottica della trattativa avviata con la mafia, cercavano di assicurare l’impunità a Provenzano in cambio della fine sulle stragi. Sul piatto, poi, i boss avrebbero messo anche l’allentamento della morsa dello Stato nella strategia di contrasto alla mafia. Ilardo avrebbe parlato a Riccio anche di mandanti esterni dietro agli attentati del ’92 e ’93 e di spaccature all’interno di Cosa nostra sulla strategia stragista.

Con Provenzano a capo dell’ala moderata e Totò Riina e Leoluca Bagarella di quella violenta. Ma nonostante il processo continui, che l’assoluzione di Mannino, ritenuto dall’accusa il “motore” della trattativa da lui voluta e sollecitata al Ros per i timori per la propria incolumità dopo l’omicidio Lima, pesi è innegabile. Il gup ha assolto l’ex politico “per non avere commesso il fatto” e per insufficienza della prova. Segno che non ha escluso che il fatto, cioè la trattativa ci sia stata, dicono in Procura. Una magra consolazione, ritengono altri, visto che l’ex ministro Dc, dell’impianto accusatorio, era uno dei principali protagonisti. 

Lara Sirignano/ANSA

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05 Novembre 2015, 19:59

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