La trattativa Stato-mafia |vacilla a Palermo, tiene a Firenze

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06 Giugno 2016, 21:08

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PALERMO – Dopo i durissimi colpi alla tesi accusatoria, da Firenze arriva un punto a favore di chi, a Palermo, ha sempre creduto nell’esistenza di una trattativa fra la mafia e lo Stato. Mentre nel capoluogo siciliano, infatti, l’assoluzione di Mario Mori – in primo e secondo grado -, quella di Calogero Mannino e le traballanti dichiarazioni del testimone chiave Massimo Ciancimino minano le fondamenta della ricostruzione della Procura, la Corte d’assise d’appello di Firenze sostiene che la trattativa ci fu.

E lo scrive nelle motivazioni nella sentenza con cui ha condannato all’ergastolo il boss di corso dei Mille, Francesco Tagliavia, accusato di avere messo a disposizione i suoi uomini e prestato il suo assenso alla strage mafiosa di via dei Georgofili a Firenze. Secondo i giudici, “l’esistenza (della trattativa, espressamente citata, ndr), comprovata dall’avvio poi interrotto di iniziali contatti emersi tra rappresentanti politici locali e delle istituzioni e vertici mafiosi, è però logicamente postulata dalla stessa prosecuzione della strategia stragista. Il ricatto non avrebbe difatti senso alcuno se non fosse scaturita la percezione e la riconoscibilità degli obbiettivi verso la presunta controparte”. E tra gli obiettivi ci sarebbe stato, secondo i giudici, il mancato rinnovo del carcere duro, il 41 bis, per una raffica di boss. Nella stessa sentenza si fa riferimento alla “necessità di ulteriori esplorazioni investigative” per un tema di cui viene ricordata la “viscosità”.

Ed ancora, scrivono i giudici: “Si può dunque considerare provato che dopo la prima fase della cosiddetta Trattativa, avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l’attentato di via D’Amelio, la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura dell’obbiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quella interruzione”.

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Un giudizio, quello espresso su Mori, che fa a pugni con la storia processuale del generale dei carabinieri assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere agevolato la latitanza di Bernardo Provenzano nell’ambito dei presunti e indicibili accordi di quella stagione. Mori è ancora sotto processo in Corte d’assise, a Palermo, insieme ai boss e agli uomini delle istituzioni che quella trattativa avrebbero condotto.

In un altro processo, un altro pezzo della trattativa è venuto meno con l’assoluzione di Calogero Mannino, figura decisiva dell’intera inchiesta visto che, secondo i pm, sarebbe stato l’ex ministro, temendo per la sua vita dopo l’omicidio di Salvo Lima, a chiedere ai carabinieri di trattare.

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06 Giugno 2016, 21:08

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