18 Maggio 2011, 09:56
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E’ cominciata nell’aula bunker del carcere di Rebibbia la deposizione del pentito Giovanni Brusca, teste al processo al generale dei Carabinieri, Mario Mori, accusato di favoreggiamento alla mafia. Il collaboratore di giustizia risponderà alle domande dei pm di Palermo, Ingroia e Di Matteo. Al centro della deposizione la trattativa tra Stato e mafia. Il processo si svolge davanti ai giudici della Quarta Sezione del Tribunale di Palermo in trasferta a Roma per l’esame di Brusca e di un altro pentito, Angelo Siino.
“Berlusconi può essere accusato di tutto, ma con le stragi del ’92-’93 non c’entra niente”. Lo ha detto al processo Mori il pentito Giovanni Brusca. Il collaboratore ha smentito di essersi mai recato nella villa di Arcore del premier rivelando di avere querelato gli organi di stampa per le “false informazioni scritte”.
“Dopo l’arresto di Riina ho contattato Vittorio Mangano, il cosiddetto stalliere di Arcore perché si facesse portavoce di alcune nostre richieste presso Dell’Utri e Berlusconi” ha detto ancora Brusca. “Lui – ha aggiunto – era contentissimo di poterci ristabilire i contatti e ci spiegò che si era licenziato dall’ impiego ad Arcore per non creare problemi a Berlusconi, ma che tutto era stato concordato anche con Confalonieri e che aveva ancora con loro buoni rapporti”. A fare da tramite tra Mangano e l’allora imprenditore Berlusconi sarebbe stato un personaggio che aveva la gestione delle pulizie alla Fininvest. L’episodio risale alla fine del ’93. ”Gli volevamo chiedere – ha spiegato – tra l’altro, di attenuare i rigori nei trattamenti dei detenuti a Pianosa e Asinara e di alleggerire il 41 bis”.
Brusca ha poi aggiunto di avere detto a Mangano, affinché questi lo riferisse a Dell’Utri in modo tale da fornirgli “un’arma politica”, che la sinistra sapeva tutto sulle stragi mafiose del ’92 e del ’93”. Dopo un mese Mangano sarebbe tornato con la risposta di Dell’Utri che gli avrebbe detto: “Vediamo cosa si può fare”. Confermando quanto già dichiarato ai pm, Brusca ha ribadito di avere saputo da Mangano che dopo il contatto “erano contenti”. “Non mi disse – ha concluso – a chi si riferiva”. Brusca, infine, ha ammesso di non avere avuto più notizie sui contatti tra Mangano e i suoi referenti in quanto lo stalliere di Arcore venne poi arrestato.
“Tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio Riina mi disse che qualcuno si era fatto avanti per chiedere cosa voleva la mafia per fare cessare gli omicidi e che lui gli aveva dato un papello di richieste. Sempre in quell’ occasione mi disse che il terminale finale a cui l’elenco di cosa nostra doveva arrivare era l’onorevole Nicola Mancino”. Lo ha detto, deponendo al processo Mori, il pentito Giovanni Brusca. Il collaboratore ha affermato di non sapere chi fossero i soggetti che “si erano fatti avanti”. Ma ha ribadito che era Mancino “il soggetto interessato a far cessare le stragi, il garante presso Cosa nostra”.
“Negli anni ’80 la mafia legata a Stefano Bontate, quella dei cosiddetti perdenti, investì denaro con Dell’Utri e Berlusconi – ha detto Brusca – Seppi da Ignazio Pullarà che poi il boss Giovannello Greco, temendo di perdere i frutti dell’investimento fatto con Berlusconi, fece un blitz a casa di Gaetano Cina per riprenderseli”. Brusca ha poi riferito di avere saputo, sempre dal capo mafia Pullarà, boss della famiglia di Santa Maria di Gesù, che Berlusconi pagava il pizzo a Cosa nostra per le sue attività economiche in Sicilia. Prima – ha spiegato – pagava a Bontate, poi dopo la sua morte a Pullarà che, per fare capire all’imprenditore che era lui il nuovo riscossore del pizzo gli fece un attentato nella sua casa milanese”. L’intimidazione non sarebbe piaciuto al boss Totò Riina che avrebbe sollevato Pullarà dal suo ruolo e deciso di occuparsi personalmente della cosa. Il pentito quantifica il denaro versato da Berlusconi in 600 milioni delle vecchie lire all’anno.
“Dopo l’omicidio di Salvo Lima incontrai Riina che mi disse che si erano fatti sotto alcuni politici, Ciancimino e Dell’Utri, che gli avevano portato la Lega e un soggetto politico che stava per nascere. Io lo interpretai come una richiesta di autorizzazione da parte loro per l’avvio di questa attività politica” ha aggiunto Brusca, che non ha specificato, però, a quale Lega si riferisse e quale fosse il nuovo soggetto politico. Il pentito ha spiegato che dopo la morte di Lima si era creato un vuoto e che Cosa nostra aveva bisogno di un referente che la garantisse a livello nazionale come faceva prima Salvo Lima.
Nella sua lunga deposizione Busca ha tratteggiato tre fasi della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia: quella accennatagli da Riina con l’offerta ricevuta da Dell’Utri e Ciancimino, quella tra le stragi del ’92 culminata con la presentazione del papello e che avrebbe avuto come terminale finale Nicola Mancino, e infine quella avviata tramite Vittorio Mangano con Dell’Utri e Berlusconi. L’evoluzione di quest’ultima, se non per una generica offerta di disponibilità che Dell’Utri avrebbe indicato a Mangano, non é nota a Brusca in quanto lo stalliere di Arcore venne poi arrestato. Il pentito ha anche detto che le stragi del continente del ’93 furono volute dal boss Bagarella per sollecitare la ripresa della trattativa.
“Nel ’91 Toto’ Riina attraverso Berlusconi e Craxi voleva provare ad arrivare alla Cassazione che doveva decidere l’esito del maxiprocesso”. ha rivelato ancora Brusca al processo al generale Mario Mori. Il pentito, che non ha specificato se gli sforzi del capomafia corleonese abbiano trovato risposte in quelli che lui aveva scelto come suoi intermediari per la Cassazione, ha specificato che la mafia cercò di condizionare l’esito del maxiprocesso fino al giorno prima della sentenza che poi, invece, confermò le pesanti condanne ai clan. Brusca, che sul punto comunque non è stato chiaro, ha fatto capire che Berlusconi, all’epoca semplice imprenditore, veniva visto da Riina come un tramite per arrivare al leader socialista.
“Tre anni fa ho incontrato i familiari di una vittima della mafia e gli ho presentato mio figlio e mia moglie. Allora non toccammo argomenti giudiziari, poi quella persona mi disse che voleva vedermi a quattr’occhi. Capii che voleva la verità sulle stragi”. A tratti commosso il pentito Giovanni Brusca ha ripercorso gli ultimi anni della sua collaborazione ammettendo di avere taciuto anche su particolari importanti per le indagini, come i nomi dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino e del senatore Marcello Dell’Utri, e rivelando di avere deciso di raccontare tutto dopo avere conosciuto il familiare di una vittima di mafia. L’incontro a quattr’occhi, però, non è mai avvenuto. Brusca ha rivelato i dettagli omessi solo dopo essere stato coinvolto in una nuova indagine di estorsione e intestazione fittizia di beni che mette a rischio la sua permanenza nel programma di protezione. Incalzato dalla difesa del generale Mori, al cui processo il pentito ha deposto, Brusca ha giustificato il suo silenzio sostenendo di non avere parlato di Vito Ciancimino “perché era già in carcere ed anziano” e di Dell’Utri “perché gli avevamo chiesto delle cose e non volevo creargli altri guai giudiziari visto che era già indagato”.
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