23 Gennaio 2017, 05:50
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Il M5S destinato a vincere dappertutto ha però dei curiosi buchi neri, vere e proprie voragini di sconfitte. In Sicilia, per esempio, il movimento creato da Beppe Grillo farà man bassa. L’uscente Rosario Crocetta sarà infatti il muro basso su cui Giancarlo Cancelleri troverà piedistallo ma c’è comunque Palermo – una capitale, più che un capoluogo – già prenotata alle amministrative a un sicuro fiasco.
Ugo Forello, candidato sindaco alle prossime amministrative, è stato battezzato alle psicotiche comunarie on line con 357 voti contro i 233 raccolti dal suo contendente, Igor Gelarda. I CinqueStelle tutto sono ormai, fuorché l’antipolitica. Sono il soggetto politico con più pesante seguito, sono il magma con cui fanno i conti tutti ma su cui resta però inspiegabile la mappatura a leopardo del loro consenso. O, forse, è spiegabilissimo. Con una formula, questa: solo il capo-popolo fa diga all’insorgenza di popolo.
A Palermo, appunto, c’è già Leoluca Orlando, una sorta di grillino ante-litteram i cui argomenti – fino a toccare con questo appuntamento, se riesce, la “quinta” sindacatura – anticipano qualunque umore, qualsiasi urto e ogni aspettativa “di popolo”. L’altro grande buco nero del M5S è Napoli, la città dove Luigi De Magistris – il sindaco – replica lo schema collaudato di Orlando mettendosi a capo del popolo partenopeo per ingoiare ogni insorgenza. E così, pur nella variante tutta urticante, è l’intera Campania, con il presidente della regione Vincenzo De Luca, ben più che un ras derivato dal Pd; come anche in Puglia, con il governatore Michele Emiliano prossimo a duellare con Matteo Renzi nel regolamento di conti finali a sinistra tra establishment e popolo.
Certo, la vittoria e il successo di Chiara Appendino, a Torino, apre un altro foglio di libro: quello di un confronto virtuoso con una società – di radicata identità industriale – pronta all’esperimento. Non se n’abbia a male nessuno ma la vicenda dei Cinquestelle sotto la Mole è lombrosianamente “capovolta” rispetto a una città come Roma dove ci sono comunque “i romani”, e cioè un’antropologia che non poco ha influito sulla catastrofe amministrativa di Virginia Raggi, ancora ferma al palo delle attese tutte mal riposte.
“Non bisogna demonizzare il voto popolare”, dice Massimo D’Alema in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. E quel che succede al Sud dove la tensione del consenso di popolo va infatti incontro a leader della sinistra radicati nel territorio, al Nord, a destra, si ripete con personalità come Luca Zaia – governatore del Veneto – o Roberto Maroni in Lombardia, chiamati in virtù della sintonia con le “insorgenze” a ricoprire quello spazio altrimenti occupato, altrove, dal M5S. Il buco nero è solo uno spazio già occupato. Il voto di popolo necessità adesso di maturità, oltre il clic dell’infantilismo internettiano.
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23 Gennaio 2017, 05:50