Truffa alla Marina di Augusta | Rinvio a giudizio per otto persone

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10 Gennaio 2017, 20:03

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ROMA – Una frode milionaria ai danni della Marina Militare di Augusta, in Sicilia. Uno dei tanti rivoli scaturiti dalla maxinchiesta su Mafia Capitale che rischia di far finire sotto processo sei persone e due società per la vicenda dei sette milioni di euro pagati dallo Stato per la fittizia fornitura di 11 milioni di litri di gasolio destinati alla nave “Victory I”, affondata nel 2003. La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Massimo Perazza e Andrea D’Aloja, rispettivamente amministratori delle società Global Chemical Broker srl e Abac Petroli, Attilio Vecchi, capitano di fregata della Marina Militare, all’epoca dei fatti (fino all’aprile 2014), Mario Leto e Sebastiano Distefano, militari mediatori della Marina, Salvatore Di Pasquale, militare della Marina nonché membro delle commissioni di collaudo costituite per forniture di gasolio, e delle stesse Global Chemical Broker e Abac Petroli. Gli indagati devono rispondere, a seconda delle posizioni, di accuse che vanno dall’associazione per delinquere di carattere transnazionale al falso, dalla corruzione alla truffa aggravata, fino alla frode nelle pubbliche forniture.

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A chiedere il processo sono stati i pm Mario Palazzi, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini. L’inchiesta è maturata nell’ambito dei rapporti di conoscenza emersi tra Perazza e Massimo Carminati, quest’ultimo ritenuto, insieme con Salvatore Buzzi, il dominus di Mafia Capitale. In base all’impianto accusatorio Vecchi si adoperò per evitare che la frode potesse essere scoperta ed assieme a Leto e Distefano, che erano stati incaricati di redigere una falsa documentazione, anche sostituendosi ad altri colleghi, avrebbero ricevuto da Perazza e D’Aloja “indebite utilità” come somme di denaro, ipad, biglietti aerei e soggiorno presso alberghi di lusso nonché incontri con prostitute. Per questa vicenda, nel dicembre del 2014, il tribunale di Roma spiccò una richiesta di arresto per Perazza e D’Aloja. I due si resero latitanti e vennero arrestati nel luglio dell’anno successivo dall’Interpol di Santo Domingo. Il nome di Perazza, che per la latitanza sfruttò un passaporto rimediato da un poliziotto in pensione del Commissariato Ponte Milvio, amico di Carminati, era emerso dalle carte su Mafia Capitale anche per i suoi contatti con Roberto Lacopo, gestore della stazione di carburante di Corso Francia, base di appoggio del gruppo del ‘mondo di mezzo’. (ANSA).

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10 Gennaio 2017, 20:03

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