05 Febbraio 2014, 19:48
3 min di lettura
PALERMO – Un’indagine talmente lineare, secondo l’accusa, da potere chiedere il rinvio a giudizio degli indagati ad appena tre mesi dalle misure cautelari che fecero scoppiare l’ennesimo bubbone nei Palazzi del potere siciliano.
A metà novembre l’inchiesta della Procura – procuratore aggiunto Leonardo Agueci, sostituto Alessandro Picchi – svelò che 700 mila euro di soldi regionali, invece di essere utilizzati per pagare i fornitori, in parte sarebbero finiti sul conto corrente di un funzionario infedele e, in parte, sarebbe stati utilizzati per pagare ai dipendenti straordinari inventati o gonfiati. Lo scandalo travolse l’assessorato regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale.
A Emanuele Currao, funzionario dell’area Affari generali, poi trasferito, sarebbe bastato cambiare le cifre dell’Iban per dirottare migliaia di euro sul proprio conto corrente. Il tutto grazie alla compiacenza, sostiene l’accusa, del dirigente del servizio, oggi in pensione, Maria Concetta Cimino. A lei spettava il compito di vigilare. Ed invece Currao entrava nel sistema informatico per disporre i mandati di pagamento con la password della dirigente. E lo avrebbe fatto pure in un periodo in cui era stato sospeso per sei mesi dal servizio. Un provvedimento disciplinare deciso per via del suo coinvolgimento in un’inchiesta penale.
La Cimino, in pensione da due anni, fu rimessa in libertà perché il Riesame ritenne insussistenti le esigenze cautelari. I giudici non entrarono neppure nel merito della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Indizi che, a detta dei difensori, gli avvocati Camillo e Marco Traina, però, non ci sarebbero. La Cimino si sarebbe pure attivata per segnalare alcune situazioni anomale e si sarebbe prodigata per recuperare i soldi finiti sul conto corrente sbagliato.
Eppure nel corso dell’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari era stato proprio Currao ad ammettere di essere l’artefice della truffa e a sollevare pesanti ombre sulla gestione della Cimino. Specie nella vicenda degli straordinari. Il funzionario descrisse l’esistenza di una cerchia ristretta di dipendenti ai quali la dirigente avrebbe riservato un trattamento di favore.
Nelle carte dell’inchiesta è finita anche la storia di un viaggio in Sud America pagato due volte dalla Regione. La prima attraverso un accredito lecito, l’altra con un decreto ingiuntivo, richiesto dallo stesso Currao e il cui importo – 42 mila euro – sarebbe stato girato sul conto corrente del funzionario. Nel 2009 la Regione impegnò i soldi per pagare la trasferta di alcuni funzionari, compreso Currao, in Costa Rica e Argentina. Il viaggio era finanziato dall’Unione europea nell’ambito del progetto Pacef sulla “valorizzazione della donna nel Sud America”. Secondo gli investigatori il viaggio sarebbe stato pagato due volte.
Tra i beneficiari dei fondi pubblici “distratti” da Currao ci sarebbe anche l’imprenditore Giuseppe Avara che aveva costruito una casa in legno per Currao a Sciacca, finita sotto sequestro. Avara si è detto ignaro della truffa. Lui si è limitato ad incassare i soldi che Currao gli doveva per il lavoro.
Oltre a Currao e alla Cimino, la richiesta di rinvio a giudizio riguarda un altro funzionario direttivo, Marco Inzerillo; il cassiere regionale Gualtiero Curatolo; gli istruttori direttivi Maria Concetta Rizzo, Maria Antonella Cavalieri, Federico Bartolotta e Giuseppina Bonfardeci; i collaboratori regionali Vito Di Pietra, Giampiero Spallino, e Marcella Gazzelli; gli imprenditori Mario Avara, di Palermo, e Antonio Amedeo Filingeri, di Borgetto. Che hanno respinto ogni accusa al mittente.
La stessa Procura ha chiesto l’archiviazione per il funzionario regionale Michele Ducato e per il collaboratore Carmelo Zannelli. Erano stati anche loro raggiunti da una misura cautelare. Ora la stessa Procura sostiene che erano del tutto ignari di ciò che faceva Currao e chiede di chiudere la loro posizione.
Pubblicato il
05 Febbraio 2014, 19:48