Tutti i sogni di Giulio e Gabriele | “La disabilità? Non esiste…”

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25 Febbraio 2017, 20:18

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Fra questi tre sorrisi chi è il disabile? Magari la normalità è una cosa semplice, più facile di quello che si crede, se il mondo sa chinarsi e spianare le strade in salita.

La foto, sì. Al centro, c’è Antonio Costanza, vice presidente regionale dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettive e o relazionale). Lui si muove su un sentiero mediaticamente difficile: non ci sono carrozzine, né la compassione di un minuto che poi sfocia nell’indifferenza di sempre, non c’è la sofferenza visibile che desta scandalo negli occhi dei cosiddetti normodotati che non sanno come affrontarla. C’è invece un gradino nascosto: la speranza di chi vorrebbe salire sul medesimo piano degli altri, di chi parte da un problema profondo, o più superficiale, per essere come tutti.

Accanto ad Antonio, Giulio (a sinistra) e Gabriele Tulumello, due ragazzi di venti e venticinque anni, assistiti da una famiglia amorevole. Ed è per questo – perché, in un certo senso, sono dei privilegiati nel pozzo di tutti i sospiri – che hanno un’esistenza piena di sogni.

“Io mi occupo di persone come Gabriele e Giulio – racconta Antonio – che fanno i conti con una disabilità intellettiva, più lieve, nel loro caso, grave per altri. E so che è complicatissimo parlare di diritti. La gente offre pietà, l’attenzione di un minuto, grida di gioia se Pif assalta Palazzo d’Orleans e inchioda il presidente Crocetta alle sue responsabilità, ma qui parliamo di un diritto continuato all’esistenza, di un diritto ai diritti che troppo spesso non viene riconosciuto”.

Antonio c’era alla presidenza, nel giorno del capopopolo e del governatore che balbettava alibi, nell’ora della rivolta delle sedie a rotelle. “E’ stata un’idea che ha funzionato dal punto di vista della resa scenica – dice –. Un personaggio pubblico che arriva, da vendicatore dei torti, serve a far girare a tutti la testa per un minuto, purtroppo le questioni sono lì, perché, nel corso degli anni, la politica le ha lasciate stare lì, a incancrenirsi. E non è lecito chiedere, nemmeno a Crocetta, di risolverle con uno schiocco delle dita. Nessuno ha la bacchetta magica, qui c’è da programmare un impegno lunghissimo, partendo da zero”.

Seduti al bar Alba, gustando una brioche col gelato e un succo di frutta, Giulio e Gabriele si godono la leggerezza di un pomeriggio in compagnia. Osservano estasiati la gentilissima signorina che prende le ordinazioni. Muovono lo sguardo col grato stupore che mostrano i bambini, quando qualcuno si interessa di loro. “Io, da grande, vorrei fare il fotografo – spiega di sé Giulio che ama ritrarre soprattutto i tramonti per via del romanticismo incontenibile della sua anima candida -. Mi piacerebbe studiare all’Accademia di belle arti”.

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Il presente, tuttavia, racconta un’altra storia. “In questo momento – Antonio integra il discorso – al ‘Duca degli Abruzzi’, l’istituto di Giulio, non ci sono gli assistenti per il trasporto, la comunicazione e l’igiene personale. Le istituzioni si rimpallano la responsabilità. La verità cruda è che molti studenti con disabilità restano a casa, se i genitori non possono accudirli in classe”. E ci sono state delle manifestazioni. Padri e madri incatenati ai cancelli del liceo per chiedere un semplice riconoscimento. E altri tagli potrebbero peggiorare il contesto.

Giulio è fortunato: “Abito vicino a scuola e vado a piedi. Ma ci sono molti miei amici che non studiano. E non è bello”. Gabriele offre una visione tranquilla del suo futuro: “Mi piacerebbe lavorare in segreteria. Già con l’associazione ci sto provando”. “Esprimo un concetto provocatorio – interviene Antonio -. La disabilità non esiste, talvolta, se si mette a punto la giusta inclusione, se si rimuovono gli ostacoli. Certo, nel caso delle persone di cui ci occupiamo, sono necessari linguaggi, sistemi e competenze per adattare la realtà alla loro esigenza di partecipazione, ma non è impossibile”. Quel gradino va livellato al suolo, con un po’ di buona volontà.

Giulio è perennemente innamorato. Gli piacerebbe condividere il suo tempo con una fidanzata. Gabriele, il più grande, ogni mattina e ogni pomeriggio frequenta un centro privato, a pagamento. “Noi ci concentriamo sui diritti – irrompe Luigi Messina, altra colonna portante dell’Anffas -. Non vogliamo la compassione, chiediamo una strada per l’eguaglianza”.

“Qui si discute ossessivamente di soldi, che pure sono essenziali – chiarisce Antonio – e bisognerebbe concentrarsi pure sui percorsi, sulle scelte della politica che usa i disabili per la sua retorica di un minuto, per le sue esibizioni, senza approfondire i veri bisogni. Forse, ci vorrebbe l’esperienza di un incontro come è accaduto per me. Sono cresciuto con un amico disabile, Giuseppe. Abbiamo condiviso e condividiamo la vita. L’ho visto crescere, battersi e affermarsi, con dolcezza e caparbietà. Giuseppe lavora, ha una relazione stabile, è uno che sa stare al mondo, anche se il mondo fa di tutto per non accoglierlo, per lasciarlo nel suo ghetto e piangere lacrime di coccodrillo. Basterebbe poco per cambiare”.

Forse una foto come quella che ritrae Antonio, Giulio e Gabriele, in un pomeriggio di spensieratezza, è un inizio. Si annotano soprattutto i sorrisi, nell’eguaglianza dell’affetto e niente altro. Allora, di chi è la disabilità?

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25 Febbraio 2017, 20:18

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