Spara all’ex amante della figlia | Il Pg: “Ha colpito per ucciderlo”

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20 Ottobre 2017, 14:27

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CATANIA. “Le circostanze non consentono neppure di arrivare a sostenere l’ipotesi della legittima difesa, né della legittima difesa putativa”. Non lascia margini il sostituto procuratore generale di Catania Sabrina Gambino nel corso della lunga e attenta requisitoria del processo d’appello per l’omicidio del 48enne giarrese Vincenzo Patanè. Unico imputato Isidoro Garozzo, 66 anni, padre dell’ex amante della vittima, condannato dal gup a 10 anni. Per l’accusa non ci sarebbe spazio per invocare la scriminante. Mancherebbero le tre circostanze necessarie: pericolo attuale, concreto ed inevitabile. Ed invece, secondo il pg, l’omicidio sarebbe stato il risultato di un’aggressione violenta, perché ripetuta, incontenibile e posta in essere nei confronti di un soggetto disarmato. Garozzo, la mattina dell’omicidio, ha accettato di incontrare Patané, che lo aveva contattato telefonicamente, ponendosi quindi volontariamente in una situazione di pericolo. Ma è nella ricostruzione dettagliata, minuto per minuto, degli avvenimenti accaduti poco prima degli spari che emergerebbe, secondo l’accusa, la volontà da parte dell’omicida, esasperato dalle vessazioni subite, di liberarsi una volta per tutte di Patanè. Alle 11 e 02 la vittima telefona minacciosamente all’imputato. Alle 11 e 06 il gps della vettura di Patanè rivela l’arrivo dell’uomo davanti alla villa in cui si trova Garozzo. Alle 11 e 09 Garozzo chiama il 112. Dopo appena tre minuti dal suo arrivo, dunque, Patanè sarebbe stato raggiunto da ben cinque colpi di pistola. Per il sostituto procuratore generale non ci sarebbe stato spazio, in così poco tempo, per un’aggressione da parte della vittima, colpita non appena vista scendere dall’auto. Non solo. Garozzo esplode contro Patanè l’intero caricatore, colpendolo in punti vitali del corpo, due al capo, due al torace ed uno ad un arto superiore. Quattro vengono sparati mentre la vittima sta cercando di fuggire verso la strada.

Nessuna situazione di pericolo, quindi, ci sarebbe stata per Garozzo, che avrebbe colpito con l’obiettivo di uccidere. La ricostruzione della scientifica e del medico legale escluderebbero che l’imputato abbia sparato indietreggiando. Garozzo quindi avrebbe mentito. Per il pg ci sarebbe stata inoltre preordinanzione e dunque avrebbe potuto essere contestata in primo grado anche l’aggravante della premeditazione. Infine riconosciuta l’attenuante della provocazione, nella cosiddetta forma dell’accumulo, anche se non nella massima estensione visto il comportamento tenuto dall’imputato durante e dopo la commissione del reato. Nell’imputato si sarebbe sedimentata nel tempo una carica di dolore, sofferenza ed esasperazione dovuta alle aggressioni che sarebbero state subite dalla figlia e dall’intera famiglia. Chiesta quindi una rideterminazione della pena a 8 anni e 8 mesi. Nella prossima udienza, fissata per il 29 novembre, discuteranno davanti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Dorotea Quartararo, i legali di parte civile, Lucia Spicuzza e Salvo Sorbello, e della difesa, Giuseppe e Francesco Trombetta.

L’OMICIDIO. E’ l’8 maggio del 2015 quando nella piccola frazione giarrese di San Giovanni Montebello Isidoro Garozzo esplode cinque, forse sei, colpi di pistola contro Vincenzo Patanè. La vittima, ancora cosciente quando arrivano i carabinieri della Compagnia di Giarre, indica il nome di chi gli ha sparato. L’uomo viene arrestato per tentato omicidio. Poco dopo il 48enne muore e l’accusa si trasforma in omicidio. Dalle successive indagini emerge un clima di dissapori, minacce e aggressioni. La vittima, infatti, avrebbe intrattenuto a lungo una relazione extraconiugale con la figlia dell’omicida.

 

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20 Ottobre 2017, 14:27

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