Cronaca

Ultimo brindisi, le società “cartiere”: affari sulle spalle dei prestanome

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28 Febbraio 2024, 05:01

5 min di lettura

CATANIA – “Esperienza e professionalità“, in un’attività gestita con “sorprendente perizia“. Se c’entrasse un’offerta di lavoro, sarebbe una lettera di referenze di primordine. Invece sono le parole che la giudice per le indagini preliminari di Catania usa per descrivere alcuni degli arrestati nell’operazione Ultimo brindisi, portata a compimento ieri dalla Guardia di finanza. I militari hanno lavorato in diverse province d’Italia e la delega è arrivata dalla Procura europea di Palermo. Ma è attorno al capoluogo etneo e alla sua provincia che orbitava il cuore di un sistema capace, secondo l’accusa, di evadere l’Iva per oltre trenta milioni di euro.

I principali protagonisti di questa storia sono le sei persone finite in carcere. La storia più rilevante è quella di Filippo Intelisano, catanese, classe 1983. È figlio di Giuseppe Intelisano, boss mafioso della famiglia Santapaola-Ercolano, detto Pippo ‘u niuru, all’ergastolo dal 2003. Agli arresti con lui c’è Milena Bulla (1983), Fabio Spina (1981), Concordio Malandrino (1969) e i due professionisti Vincenzo (1951) e Andrea Maria Raffaele Carelli (1975). Sarebbero loro a possedere le qualità individuate dalla gip Marina Rizza nell’ordinanza con cui stabilisce, per loro, la custodia cautelare in carcere. Tutti insieme, ciascuno ingranaggio del meccanismo, avrebbero messo in piedi decine di società cartiere, costruite e dismesse alla bisogna. E avrebbero “ideato, al contempo, circuiti fraudolenti sempre più sofisticati e spregiudicati, per trarne profitti sempre maggiori”.

Le 17 società coinvolte

Il modus operandi, per l’accusa, è sempre lo stesso: false fatture, crediti d’imposta gonfiati. Cioè non solo Iva non versata, ma anche tasse non pagate e attività commerciali capaci di stare sul mercato con prezzi fin troppo concorrenziali. In questo caso, il settore è quello delle bibite. Non soltanto alcoliche. Per comprendere come tutto quel denaro circolasse tra le 17 società coinvolte, e i cui beni sono adesso sotto sequestro, bisogna spiegare come funziona in alcuni casi specifici il pagamento dell’Iva per compravendite interne all’Unione Europea.

La frode carosello

In particolare, le aziende che hanno costanti rapporti con l’estero (e che con l’estero realizzano più del 10 per cento del loro fatturato) vengono considerati “esportatori abituali”. Questo fa sì che non debbano pagare l’Iva per conto dei propri fornitori esteri entro un limite, detto “plafond“, proporzionale al proprio volume d’affari. Un regime di vantaggio fiscale particolarmente appetibile per gli evasori.

Le autorità che dovrebbero impedirla, la chiamano “frode carosello“: società cartiere, che si dichiarano esportatrici abituali, documentano acquisti da altre società che approfittano dello stesso sistema. La merce, acquistata senza che né in arrivo né in partenza venisse versata l’Iva, viene venduta subito dalla società cartiera a una società filtro, detta buffer, che stavolta l’Iva la paga. A quel punto, la merce è pronta per essere immessa sul mercato: l’acquirente finale approfitterà di un prezzo più basso (dovuto alle imposte non versate) e sarà più difficile risalire la filiera delle illegalità.

Le difficoltà dei prestanome

Di questo discutono gli indagati, intercettati dalle cimici delle fiamme gialle, continuamente. “Noi tracchiggeremo“, dice Gianluca Russo, indagato anche lui, finito ai domiciliari, discutendo con Milena Bulla. “Potremmo fare X, ma faremo Y“. Secondo i magistrati, l’organizzazione aveva una enorme disponibilità di società cartiere, affidate a prestanome. Una sorta di album da sfogliare per decidere a quale società fare fatturare quale operazione. A capo delle imprese, ci sarebbero state teste di legno pagate affinché permettessero a Intelisano e Bulla, veri e propri vertici del sistema, di usare le loro generalità. Senza nemmeno andare una volta a firmare un atto.

Gli investigatori intercettano una di loro, amministratrice delegata di una società che movimenta milioni di euro ogni anno. Parla al telefono col marito, gli racconta che è stata alla Posta, che non ci sono soldi. Che dei 50 euro che il marito le aveva lasciato per le spese, ne erano rimasti quindici, e che forse può cominciare un’attività di vendite a distanza, da casa. All’uomo racconta che una conoscente “questa settimana ha guadagnato 21 euro” con quel metodo. “Queste conversazioni – si legge nelle carte del tribunale – non lasciavano dubbi né sulla reale attività di casalinga” della donna, “né sulle difficoltà economiche del proprio nucleo familiare”.

“Il gioco, il fumo…”

Un altro degli uomini accusati di essere una testa di legno chiede un anticipo: vorrebbe 250 euro subito, e i 400 che mancano alla fine del mese, come sempre. Ad ascoltare la richiesta è Gianluca Russo: “Vediamo se ‘iccucchio (riesco a metterli insieme, ndr)”, gli risponde.

Russo ne parla con Intelisano, chiede conferme , vuole sapere cosa dire a quell’uomo e se quell’uomo continuerà a fare da prestanome. Per spiegare a Filippo Intelisano il perché della richiesta, aggiunge qualche spiegazione: “Lui (il prestanome, ndr) è messo sotto scopa da un carusazzu della zona a causa del gioco. I soldi che prende, praticamente, non lo so… Forse non gli resta niente. Ci deve mettere soldi e li deve dare, il gioco, il fumo…”. La società che sulla carta amministra, invece, fattura tra il 2019 e il 2021 circa 13 milioni di euro.

“Intelisano non è al 41bis”

La nota del legale. Il boss Giuseppe Intelisano, che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Sulmona, non è sottoposto al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro, dal 2008 su provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Perugia. Lo precisa il suo legale, l’avvocato Francesco Maria Marchese, su notizie diffuse ieri nell’ambito dell’inchiesta ‘Ultimo brindisi’ della Procura su indagini della Guardia di finanza su una presunta maxi evasione fiscale da 30 milioni di euro che ha portato all’arresto del figlio, Filippo Intelisano. Giuseppe Intelisano, detto ‘Pippu ‘u niuru’ (‘Pippo il nero’, ndr), è un esponente di spicco del clan Santapaola, di cui sarebbe stato anche per un periodo il reggente, che sta scontando l’ergastolo, comminato il 28 giugno del 2003 con la sentenza del processo ‘Orione 5’.

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28 Febbraio 2024, 05:01

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