Un albergo nella Casa del mutilato |Il duello tra Campione e Campo

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13 Maggio 2017, 15:34

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CATANIA – Un gioiello ostaggio della burocrazia. Il progetto degli imprenditori Santo e Pietro Campione era quello di trasformare la Casa del Mutilato in un albergo. Quello di Gesualdo Campo, gran tecnico dei Beni Culturali siciliani, invece, era di non lasciare cadere nelle mani dei privati un pezzo del Decò catanese. Nel mezzo una disputa giudiziaria senza esclusioni di colpi e durata quasi dieci anni, che ha prodotto finora solo degrado. Insomma, l‘annosa chiusura della Casa del Mutilato è un fatto che guasta la bellezza dello slargo pedonalizzato che fa da corredo al Teatro Massimo e a tutta la piazza Vincenzo Bellini. Le luci sullo stato di abbandono del plesso sono state accese di recente dagli attivisti di Casa Pound Italia, che la notte tra il ventiquattro e il venticinque aprile scorsi hanno affisso alle cancellate del palazzo uno striscione di denuncia con su scritto “La storia non si cancella”. 

Per non farlo, è necessario soprattutto studiarla, la storia. E non solo per scoprire che l’opera (GUARDA LE FOTO)  fu realizzata nel 1939 dall’architetto Ercole Fischietti, o che le sculture della facciata furono realizzate Salvatore Yuvara, Giuseppe D’Angelo e Salvo Giordano. O, ancora, che gli interni sono stati affrescati da Roberto Rimini e che tutto l’arredo – come ha potuto verificare Live Sicilia – è fermo quasi per incantesimo al Ventennio. È semmai la storia recente a dirci qualcosa di più sull’attuale stato di degrado del plesso. Come accennato, a capo di tutto c’è la complessa vicenda che interseca gli imprenditori Santo (scomparso nel giugno 2015) e Pietro Campione, la Provincia di Catania, la Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali, la Regione, e il Tar. Un tiremmolla burocratico entro cui nessuno è vincitore.

Il punto. Tutto ha inizio nel 2006, quando l’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra, oramai senza scopo sociale perché priva di nuovi scritti, delibera l’alienazione della storica sede catanese. A rilevarla c’è Santo Campione, che fiuta immediatamente l’affare. Come spiega al nostro giornale il figlio Pietro, dietro l’acquisto del plesso c’è il desiderio di realizzare un duplice “sogno”: mettere a reddito la struttura e riconsegnare alla città un indubbio bene storico e artistico. Il progetto prevede, infatti, la realizzazione di un percorso museale al piano terra, dov’è ubicato il monumentale Salone delle assemblee; e la trasformazione delle 21 stanze poste ai piani superiori, le stesse che negli anni ’90 sono state utilizzate dal personale dell’azienda sanitaria locale, in una struttura recettiva. Un albergo, insomma.

Il salone delle assemblee. Alle pareti gli affreschi di Rimini.

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Sebbene la vendita è autorizzata dalla Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Catania; a questo punto entrano in gioco la Provincia Regionale, allora retta da Raffaele Lombardo, e l’assessore alla Cultura Gesualdo Campo, che avviano l’iter per esercitare il diritto di prelazione sull’Ente. L’obiettivo dichiarato è di realizzare lì dentro la “Galleria d’arte moderna e contemporanea della Provincia”. Ma i 60 giorni previsti della legge sono ormai scaduti, e la questione finisce al Tar. Ecco in una nota come i legali dei Campione riassumono quella fase: “Il Tribunale amministrativo, annullando tutti gli atti impugnati, ha evidenziato non solo la tardività dell’esercizio della prelazione, ma anche, e soprattutto, l’illegittimità dell’operato della Provincia, gravemente colpevole, sia per la mancanza di previsione progettuale sia, soprattutto, per la assoluta carenza della necessaria copertura finanziaria, elemento di per sé causa di nullità dell’atto amministrativo da cui sorge il vincolo di spesa”.

Ma non finisce qui. Contro il progetto dei Campione, nel 2009, scende in gioco anche la Soprintendenza. Che stavolta, però, è sotto la guida dello stesso Campo, che revoca il nullaosta alla vendita rilasciato tre anni prima da Maria Grazia Branciforti e dalla direttrice della sezione architettonica Fulvia Caffo. Il Tar non gli dà ragione, però. Così nel 2011, ma in qualità di dirigente regionale dei Beni culturali, Gesualdo Campo sferra l’ultimo assalto, annullando nuovamente il nullaosta. La motivazione addotta è – come ricostruisce la giornalista Pinella Leocata su La Sicilia – che la Soprintendenza non ne avrebbe avuto la competenza a rilasciarlo perché “secondo il codice dei Beni culturali del 2004 è previsto che il diritto di prelazione è in capo all’amministrazione centrale, e dunque alla Regione”. Anche stavolta il Tar stabilisce che il ricorso è attardato.

In tutta questa fase, il plesso resta chiuso, complice pure la tragica dipartita di Santo Campione, evento che di fatto rimodula le priorità di tutto il gruppo imprenditoriale. Non tutto da allora, però, è rimasto fermo. Durante le giornate di primavera e autunno indette dal Fai, previa la messa in sicurezza del Salone delle assemblee, il Palazzo è stato aperto al pubblico. Mentre le statue che sormontano la parte superiore della facciata, attualmente coperte da una vistosa impalcatura, sono state completamente restaurate. “La struttura verrà rimossa, quando rifaremo tutta la facciata: vogliamo preservare le opere dalle intemperie”, spiega un Pietro Campione convinto di portare in breve  a compimento il suo “sogno”. Già, perché “la società proprietaria dell’immobile – fa sapere – è tutt’oggi in fase di trattative con investitori locali al fine di riuscire a portare avanti il progetto di rinascita e restauro del palazzo, già bloccato da troppi anni. Esiste ancora – conclude polemicamente – chi ha voglia di andare dove lo Stato non riesce”.

 

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13 Maggio 2017, 15:34

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