26 Settembre 2010, 00:49
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Padre Francesco Michele Stabile, parroco della chiesa di San Giovanni Bosco a Bagheria, intellettuale e studioso raffinato, conosce bene la città di Palermo per esserne stato per tanti anni la voce nei quartieri più poveri della città. Da sempre impegnato in prima linea nell’opera di riavvicinamento della chiesa verso la comunità, avviata insieme al cardinale Pappalardo. Un periodo particolarissimo quello per il clero palermitano, deciso a dare inizio a un nuovo corso, un nuovo modo di concepire la chiesa . Abbiamo rivolto proprio a padre Stabile, storico della chiesa, alcune domande sull’imminente visita del Papa.
Quale pensa che sia il senso della visita del Papa a Palermo?
“Il senso immediato di questa visita sta nell’invito rivoltogli dal vescovo di Caltanissetta a portare una testimonianza di fede nella nostra terra. Non c’è una motivazione specifica. Poi vi è stato il desiderio del Pontefice di venire proprio a Palermo e non altrove”.
Perché, quindi proprio Palermo e non altrove, ad esempio?
“Palermo è il capoluogo, è il simbolo dell’intera isola. E’ quindi una visita per tutti i siciliani e non solo per la città”.
Palermo è anche una città afflitta da mille problemi … cosa pensa che possa rappresentare questo incontro?
“Speriamo che sia una scossa. Questa città ha bisogno di un forte richiamo. È degradata anche visivamente, i problemi seri c’erano già prima, ma non mi ricordo mai di averla vista in un simile stato anche a livello d’ immagine visiva così maltrattata e sciupata”.
Come occorre che la comunità si prepari in occasione di questa visita?
“Non sono state date molte direttive in questo senso, non c’è una linea precisa di contenuti. Mi auguro che non sia solo un fatto emozionale per la comunità episcopale e cristiana e che rappresenti un momento di riflessione, un fermento di radicalità del Vangelo che si contrappone a quelle relazioni che sono alla base della nostra società capitalistica che non riesce a guardare al di là del proprio orticello e che non vede più nemmeno il proprio vicino”.
Insomma, pure a Palermo, simbolo di quel Sud caloroso, si è persa quella dimensione di fratellanza anche con il proprio vicino che sicuramente in passato le è appartenuta?
“Sì, quella dimensione che la differenziava da altri posti è sicuramente andata via da questa città, ma un po’ dappertutto anche a Bagheria, che è un piccolo centro questo senso si è sfaldato, frutto di una certa omologazione culturale che porta avanti valori come la privacy e l’individualismo”.
Cosa si aspetta lei dalle parole del Santo Padre?
“Non sono a conoscenza di che cosa nello specifico il Papa parlerà in questa visita, ma secondo me se da questo viaggio Benedetto XVI potesse sollecitare il riconoscimento del martirio cristiano di don Pino Puglisi sarebbe senz’altro un momento importante, una tappa rilevante per affermare un modello di chiesa che unisce Vangelo e impegno sociale. E padre Puglisi rappresenta appieno questo esempio di chiesa presente e partecipe nella vita della comunità e non avulsa dalla quotidianità dei problemi della realtà”.
Un messaggio forte come quello che Papa Wojtyla diede quando ad Agrigento lanciò un vero anatema contro la mafia lasciando aperta anche un grande speranza per questa terra?
“Quello fu uno scossone fortissimo che lasciò una traccia indelebile nel cuore dei siciliani e che suggellò un momento particolare della nostra comunità, una spinta al rinnovamento che era iniziata già tempo prima della venuta di Giovanni Paolo II nella coscienza e nella volontà di molti e che il Papa seppe interpretare perfettamente in quel discorso “.
Padre Stabile, lei non ha mai nascosto la sua posizione critica rispetto ad alcune scelte conservatrici della Chiesa dicendo “noi cattolici non dobbiamo avere paura del mondo e del diverso”, si aspetta qualche apertura in questo senso da Benedetto XVI?
“Durante l’ultimo viaggio in Inghilterra Ratzinger ha assunto senza dubbio alcune posizioni importanti e l’affermazione del riconoscimento del martirio cristiano a chi è stato vittima di abusi sessuali da parte dei sacerdoti è senz’altro un’apertura in tal senso. Credo, però che ancora non c’è quella crescita tale che occorre per legittimare la diversità, ma non è solo un problema esclusivo della Chiesa, ma anche della mentalità comune”.
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26 Settembre 2010, 00:49