03 Ottobre 2012, 15:18
3 min di lettura
PALERMO – Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Arcore, era il canale che congiungeva Palermo con Milano. Quello attraverso il quale sarebbero transitati i proventi del traffico internazionale di droga per essere investiti nella costruzione di Milano Due. E quando, con l’avvento dei “corleonesi” al vertice di Cosa nostra, Mangano ha cambiato cordata, allontanandosi dalle famiglie perdenti, è diventato il destinatario di un progetto di morte. Questo è quanto sostiene il pentito Gaetano Grado, in un interrogatorio del 30 agosto 2012 portato in aula dal pg Luigi Patronaggio nell’ambito del processo d’appello per concorso esterno al senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri. L’accusa ha chiesto che sia sentito insieme al killer della camorra Bruno Rossi, anche lui collaboratore di giustizia.
Le rivelazioni di Grado scaturiscono da un atto di impulso della procura nazionale antimafia che, in un colloquio investigativo col collaboratore, ha riscontrati elementi ritenuti rilevanti per il processo a Dell’Utri. Sentito dai magistrati palermitani, Grado ha raccontato dei rapporti stretti intrattenuti fin dagli anni ’70 con Vittorio Mangano che gli faceva da autista. Grado era già un pezzo da novanta, molto vicino alla famiglie Bontade e Teresi di Santa Maria di Gesù che avevano in mano il traffico internazionale di droga, mentre Mangano ancora non era neanche un uomo d’onore. Grado sostiene che Mangano, dopo essere entrato nella tenuta di Arcore di Silvio Berlsuconi con la qualifica di “stalliere”, avrebbe fatto da “spallone” portando il denaro contante da Palermo nel doppio fondo dell’auto, fino a Milano. Poi è arrivata la guerra di mafia e Mangano, ritenuto da Grado un suo fedelissimo – tanto che lui stesso lo avrebbe ‘combinato’ nonostante appartenesse alla famiglia di Pippo Calò – sarebbe passato coi “corleonesi”. Da qui l’idea di farlo fuori per togliere a Riina e soci questo canale di riciclaggio e anche per salvare gli investimenti che il fratello di Grado, Antonino (poi ucciso nel 1983) aveva fatto sull’asse Palermo-Milano.
Per compiere l’omicidio sarebbe stato assoldato Bruno Rossi, un killer della camorra che Gaetano Grado conosce in carcere dove si sarebbe stipulato un patto fra la famiglie perdenti siciliane e quelle campane. Un scambio di favori a base di omicidi. Lo stesso Rossi, interrogato il 12 settembre scorso, ha confermato le dichiarazioni di Grado.
La difesa del senatore, composta da Massimo Krogh, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico, si è opposta alla richiesta dell’accusa. Per i legali di Dell’Utri non si tratterebbe di nuove prove ma di ulteriori accuse, come quella di riciclaggio, dalle quali l’imputato non può difendersi, non essendogli mai state contestate. La corte ha concesso comunque un termine alla difesa per fare le opportune valutazioni.
Il collegio, presieduto da Raimondo Lo Forti, ha anche disposto l’accompagnamento coattivo di Giovanni Scilabra, ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo, chiamato a testimoniare al processo, che ha saltato l’udienza per motivi di salute. Cause che, secondo la corte, “non gli costano affatto l’impedimento”. Scilabra aveva raccontato come a metà degli anni ’80 Dell’Utri e Vito Ciancimino gli avrebbero chiesto un prestito di 20 miliardi di lire per le aziende di Berlusconi. Ora dovrà ripeterlo in aula.
Pubblicato il
03 Ottobre 2012, 15:18