Un parlamento di indagati?

di

29 Settembre 2012, 18:18

8 min di lettura

PALERMO- In sei, solo nell’ultima legislatura, sono finiti in carcere, o agli arresti domiciliari. Più di venti sono stati destinatari di un avviso di garanzia. Per reati che vanno dai più banali a quelli legati, invece, proprio alla gestione della “cosa pubblica”. Eppure, molti di questi deputati regionali uscenti sono nuovamente presenti nelle liste per le nuove elezioni. E, fermo restando ogni principio garantista, non si può non notare come lo “slogan” recitato da tutte le forze politiche, i candidati alla presidenza, le coalizioni, quello, per intenderci, riferito a “liste pulite” e “codici etici” si sia infranto di fronte alle necessità del consenso. Alla forza puramente “politica” di certi candidati. Ai distinguo, spesso sacrosanti, ma in netta contraddizione con i meravigliosi intenti di “pulizia” del giorno prima.

Così, ecco che tra i deputati uscenti finiti agli arresti, c’è persino un candidato alla presidenza. Si tratta di Cateno De Luca, che lancia la sua “Rivoluzione siciliana” anti-casta. Per lui, una detenzione arrivata nella metà del 2011 e definita “ingiusta” dalla Cassazione. Ma procedono le indagini a suo carico per tentata concussione e abuso d’ufficio per una vicenda di investimenti alberghieri nel piccolo comune di Fiumedinisi. E tra i deputati che hanno scontato nella scorsa legislatura un provvedimento di arresto (in carcere o ai domiciliari) ecco rispuntare nelle liste per il “rinnovo” dell’Assemblea (col Partito dei siciliani, nel collegio di Ragusa) anche Riccardo Minardo, arrestato nell’aprile 2011 per associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato. Minardo, finito in carcere, era stato sospeso dall’Ars. A fine legislatura finì al centro di molte polemiche per la sua gestione un po’ troppo “disinvolta”, secondo gli avversari politici, del suo ruolo di presidente della Commissione affari istituzionali, dove avrebbe provato ad “affossare” la legge intervenuta per bloccare le nomine di Lombardo. A Catania, poi, il Partito dei siciliani ricandida anche Fabio Mancuso, in passato indagato per corruzione, concussione e abuso d’ufficio (reati dai quali però Mancuso è stato assolto “perché il fatto non sussiste”) e poi finito agli arresti domiciliari nel dicembre scorso per bancarotta. Tra i sei finiti agli arresti nel corso della scorsa legislatura non sarà ricandidato Gaspare Vitrano, del Pd. Ma la sua vicenda giudiziaria (fu fermato con una mazzetta da diecimila euro, che rappresentava, secondo gli inquirenti, solo la parte di una tangente per accelerare un’autorizzazione nel settore del Fotovoltaico), lascia un segno comunque in queste elezioni, nella candidatura di Mario Bonomo, che correrà nelle lista Fli-Nuovo Polo a Siracusa, indagato nei mesi scorsi per concussione. Secondo i pm, Gaspare Vitrano, Mario Bonomo e Piergiorgio Ingrassia (l’ingegnere arrestato negli stessi giorni in cui scattavano le manette per Vitrano) erano soci nella Green srl, una impresa del settore fotovoltaico con sede a Palermo, che avrebbe ottenuto dalla Regione siciliana, grazie anche all’interessamento dei due deputati, le licenze per la costruzione di due impianti fotovoltaici a Carlentini, nel Siracusano. Vitrano e Bonomo la controllerebbero attraverso alcuni prestanome.

Ma gli uscenti che potranno tentare un ritorno all’Ars, nonostante qualche problema in passato con la giustizia, sono tanti. E a fare discutere è il caso di Franco Mineo, accusato di essere stato il portavoce del boss dell’Acquasanta Antonio Galatolo oltre alle accuse di intestazione fittizia di beni, usura, concussione e peculato. Ma lui, oggi si difende: “Quella persona abita nel mio stesso residence da anni. E non ha nessuna condanna”. L’inchiesta Iblis coinvolge il più “influente” tra gli eletti al parlamento siciliano: il presidente della Regione Raffaele Lombardo, infatti, va considerato a tutti gli effetti un deputato. Che ha deciso di fare il passo indietro e lanciare il figlio Toti.

Curiosa è invece la storia parallela di tre ex sindaci del Trapanese. Mimmo Fazio, Giacomo Scala e Gianni Pompeo. Ex primi cittadini di Trapani, Alcamo e Castelvetrano, condividono anche un passato con qualche “intoppo” giudiziario. Fazio nel 2006 è stato condannato dal tribunale di Trapani alla pena di quattro mesi di reclusione, sostituita da una multa di 1.520 euro e all’interdizione per un anno dai pubblici uffici per il reato di “violenza private”. Secondo i giudici, Fazio avrebbe provato a indurre l’allora amministratore delegato dell’Ato rifiuti “Terra dei Fenici” Vincenzo Sciortino alle dimissioni, attraverso, appunto, la minaccia di esautorare dal ruolo di presidente della Sau (l’azienda trasporti trapanese, ndr) Vito Dolce, un grande amico dello stesso Sciortino. “Una decisione che rifarei”, ha ribadito Fazio, che precisa: “Ho agito nell’interesse della mia città”. Così, ecco la candidatura tra le fila del Pdl.

Per Giacomo Scala, invece, ex presidente dell’Anci Sicilia, alla fine la candidatura è arrivata. Tra le polemiche, a dire il vero, visto che il candidato alla presidenza Rosario Crocetta e l’Udc sono stati nelle settimane scorse tra i maggiori sostenitori della necessità di presentare, appunto, “liste pulite”. Ma Scala correrà col Pd nonostante nei giorni scorsi fosse trapelata la la notizia della sua iscrizione, da parte della Procura di Trapani nel registro degli indagati per l’ipotesi di reato di truffa. “Un’indagine a orologeria”, ha tuonato Scala. E sempre per restare nell’ambito della stessa coalizione, l’Udc ha deciso di candidare Gianni Pompeo, rinviato a giudizio dalla Procura di Trapani con l’accusa di abuso d’ufficio, per una vicenda legata all’affidamento diretto dei servizi di trasmissione delle sedute del Consiglio a una emittente locale.

Articoli Correlati

Tra gli indagati pronti a tornare all’Ars invece c’è anche il capogruppo del Cantiere popolare, e vicepresidente della Commissione regionale Antimafia, Rudy Maira, finito in una inchiesta della procura di Caltanissetta con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla gestione di appalti pubblici che ha coinvolto anche l’ex ministro delle Poste Totò Cardinale (Pd) e Vincenzo Lo Giudice, ex deputato regionale Udc. Sempre per restare nell’ambito del Cantiere popolare, ecco la candidatura a Ragusa di Giuseppe Drago, per lui in passato una condanna definitiva per peculato: quand’era governatore si sarebbe appropriato dei fondi riservati alla presidenza. La Cassazione lo aveva pure interdetto dai pubblici uffici, e nel 2010 Drago si era dovuto dimettere da parlamentare nazionale. Nel giugno scorso l’interdizione è “scaduta”, così, si sono riaperte per lui le liste del partito. Proverà a tornare a Sala d’Ercole anche Santo Catalano. E chissà, in caso di elezioni, se si commuoverà di nuovo, come nel giorno in cui i deputati “salvarono” il suo scranno all’Ars grazie a un voto segreto che capovolse la decisione del Tribunale di dichiararlo “decaduto”(perché ineleggibile) a causa di un patteggiamento ad un anno e undici mesi per abuso edilizio.

Accusati di omissione di atti d’ufficio in un’inchiesta ancora sull’inquinamento “acustico”, invece, sono il presidente dell’Assemblea Francesco Cascio, e i due deputati dell’Mpa Mario Parlavecchio (allora all’Udc) e Giovanni Di Mauro. Ma ovviamente, le accuse a loro carico hanno una portata ben più leggea delle precedenti. Nelle liste del Partito dei siciliani a Caltanissetta c’è anche Giuseppe Federico. Per lui l’accusa di voto di scambio. Secondo gli inquirenti, insomma, avrebbe richiesto e ricevuto l’appoggio del clan Madonia. “Dovrebbe essere il suo partito ad espellerlo e l’opposizione di governo dovrebbe chiedere a gran voce le sue dimissioni”, protestava in quei giorni l’europarlamentare Sonia Alfano. Ma ovviamente, quelle dimissioni, all’interno del Parlamento, nessuno le ha chieste. E, anzi, è arrivata anche la ricandidatura. E sempre per restare all’interno del Partito dei Siciliani, a Siracusa ecco la candidatura di Pippo Gennuso scivolato su una vicenda di autorizzazioni “facili” per le sale bingo. Il deputato uscente è accusato di concorso in falso e distruzione-occultamento di documenti pubblici. A Enna, invece, il deputato uscente del P Elio Galvagno accusato di falso in bilancio per la gestione dell’Ato rifiuti, ha trovato spazio nella lista “Crocetta presidente”. E un’indagine che riguarda i rifiuti ha coinvolto anche un ex esponente del Pd, Giuseppe Picciolo, passato all’Mpa agli sgoccioli della legislatura, e candidato nelle liste del Partito dei siciliani a Messina, dove il deputato regionale è imputato con l’accusa di simulazione di reato e calunnia aggravata: avrebbe spedito lettere anonime che sostenevano falsamente presunti illeciti nella gestione dei rifiuti da parte di Antonio Dalmazio, presidente di Messinambiente, e Antonio Catalioto, assessore comunale.

Da sindaco di Monreale, invece, Salvino Caputo, deputato Pdl e presidente della Commissione Attività produttive, avrebbe annullato le multe a carico di un assessore e di sua moglie, servendosi di una determinazione sindacale. Per questo motivo Caputo è stato condannato a due anni per tentato abuso d’ufficio e falso ideologico. Ma per rimanere nel settore delle “quattroruote”, quasi commovente è il reato commesso nel lontano 1995 dall’attuale sindaco di Messina e deputato regionale uscente e nuovo capolista del Pdl Giuseppe Buzzanca: peculato d’uso. Per aver fatto cosa? Buzzanca, allora presidente della provincia dello Stretto, era in ritardo. Tutto qua. Ma l’appuntamento era di quelli importanti. Decisivi. Qualche minuto dopo sarebbe partita la nave sulla quale sarebbe iniziato il suo viaggio di nozze. Così, Buzzanca pensò bene di farsi accompagnare, insieme alla fresca sposina, in auto blu fino al porto di Brindisi. Per questo motivo è stato condannato a sei mesi. “L’ho fatto per motivi di sicurezza”. Replicò al giudice. Che l’ha condannato ugualmente. Non c’è più rispetto nemmeno per l’amore.

Aggiorniamo l’articolo con una buona notizia. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Marsala, Annalisa Amato, ha emesso la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Gianni Pompeo, ex sindaco di Castelvetrano per dieci anni. Pompeo era accusato del reato di abuso d’ufficio. All’ex sindaco veniva contestato il fatto che avrebbe affidato fiduciariamente alla locale emittente “Onda Blu srl”, le riprese delle sedute del consiglio comunale e l’acquisto di spazi autogestiti in tv, senza l’attestazione del dirigente responsabile prevista dal regolamento comunale. A richiedere il non luogo a procedere è stato lo stesso pubblico ministero in udienza.

Pubblicato il

29 Settembre 2012, 18:18

Condividi sui social