26 Luglio 2012, 16:22
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L’operazione Padrini ha sconvolto gli azzurri della terra di Ignazio La Russa nel 2008 perché Carmelo Frisenna, conosciuto come imprenditore del settore agrumicolo, proveniente da una famiglia “per bene”, era uno degli uomini di punta di Forza Italia ma contemporaneamente, “utilizzando il suo ruolo politico”, si sarebbe adoperato “in favore di esponenti del sodalizio di Paternò per risolvere problemi insorti tra questi ultimi e l’amministrazione comunale relativamente alla materia degli appalti pubblici”. Frisenna, secondo gli atti dell’operazione Padrini, avrebbe “messo a disposizione del sodalizio la propria influenza e relative conoscenze nell’ambiente politico locale”. Con questi presupposti Paternò ha rischiato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, ma il provvedimento non è stato mai firmato dall’ex ministro Roberto Maroni: iniziato il processo il Comune si è costituito parte civile e Frisenna è stato condannato anche al risarcimento dei danni.
Politica e mafia. Un assessore bifronte, in grado di dialogare di strategie politiche con l’azzurro Salvatore Torrisi, attuale onorevole del Pdl ed ex presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, e di partecipare a un summit nella stalla dello “Zio Raimondo”, cioè Raimondo Pulvirenti, alla presenza del boss Angelo Santapaola, cugino di Nitto e dei presunti affiliati Vincenzo Sanfilippo, Domenico Testa e Ferdinando Fazio.
Un incontro avvenuto nel 2007, documentato dai carabinieri, che avrebbe testimoniato l’esistenza di rapporti tra catanesi ed esponenti dell’organizzazione di Paternò confermata anche da numerose intercettazioni. A partire da quella tra Frisenna, il mafioso Rosario Sinatra e Francesco Amantea, “reggente pro tempore di Paternò”, in cui – mentre le cimici registrano – Sinatra consegna un pizzino di Angelo Santapaola su un’impresa da sistemare e Frisenna indica un numero di telefono intestato ad altri, al quale era possibile rintracciarlo. Secondo Sinatra, Frisenna sarebbe stato “molto vicino ai Cannizzaro”, in particolare con Sebastiano Cannizzaro, uomo d’onore ed esponente di primo piano di cosa nostra, circostanza che sarebbe confermata da una telefonata che l’assessore di Forza Italia fa a Giorgio Cannizzaro, zio di Sebastiano. Gli investigatori intercettano anche una telefonata di Frisenna a Salvatore Angelica, presunto esponente della Cosa Nostra catanese. Francesco Amantea, altro presunto mafioso, definisce Frisenna come “portavoce…il mio orecchio e i miei occhi”. Tra gli obiettivi della consorteria ci sono l’acquisto all’asta del terreni della famiglia Fallica, il controllo attraverso l’Ato del settore dei rifiuti a partire dagli appalti.
Il ruolo del consigliere – assessore Frisenna. Nel 2007 Carmelo Frisenna è il più votato di Forza Italia: conquista quasi seicento preferenze e diventa assessore ai servizi sociali. In quel momento gli investigatori ipotizzano che l’operato di Frisenna “getta inevitabilmente pesanti ombre circa l’operato dell’intera amministrazione comunale”, tanto che negli atti si leggono i nominativi del sindaco Giuseppe Failla, dell’assessore Antonino Cosentino e del vice sindaco Salvatore Torrisi. E quando Failla viene riconfermato nelle elezioni del 13 e 14 maggio 2007, i carabinieri ipotizzano che “le inquietanti ombre circa la sussistenza di una intesa tra gli amministratori del Comune di Paternò e gli esponenti della Mafia locale non si cono certo dissolte”. E ancora: “la sostanziale riconferma dell’amministrazione comunale alla luce del pregnante contenuto indiziario delle conversazioni intercettate…induce a ritenere che detta intesa perduri tuttora, con gravissimo nocumento per il pacifico andamento socio-politico ed economico delle comunità europee”. Le successive indagini però hanno escluso ogni ipotesi di collegamento con la mafia degli ex amministratori del Comune di Paternò che, come detto, hanno scelto di costituirsi parte civile.
Ecco i condannati in appello: Carmelo Frisenna è stato condanno a 5 anni per associazione mafiosa, Rosario Sinatra a 19 anni e 9 mesi per associazione mafiosa ed estorsione, 7 anni per associazione mafiosa a Giuseppe Amantea e Salvatore Morabito; 10 anni per estorsione a Francesco Amantea. E ancora, gli altri condannati per reati minori: Antonino Aiello (6 anni), Francesco Amantea (4 anni e 4 mesi), Massimo Amantea (5 anni e 4 mesi), Salvatore Assinnata (1 anno e 8 mesi), Salvatore Befumo (1 anno 8 mesi), Salvatore Branciforte (5 anni e 6 mesi), Salvatore Catania (1 anno e 8 mesi), Rosario Chisari (6 anni), Giuseppe Mirenna (1 anno e 8 mesi), Santo Filippo Pappalardo (1 anno), Pietro Puglisi (1 anno e 8 mesi), Luca Vespucci (1 anno e 8 mesi).
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26 Luglio 2012, 16:22