08 Maggio 2017, 06:10
4 min di lettura
PALERMO – L’ennesimo flop. L’ultimo scivolone mette solo il sigillo a una legislatura disastrosa. La maxi bocciatura, da parte della Corte costituzionale, della riforma del sistema idrico siciliano fa calare il sipario su quasi cinque anni di errori. Più o meno equamente suddivisi tra il governo di Rosario Crocetta e l’Assemblea regionale siciliana.
Perché è indubbio che alcune delle norme bocciate dalla Consulta siano state volute anche da Sala d’Ercole. Così come è impossibile dimenticare che i deputati, la maggior parte di loro, hanno messo la propria firma su epocali fallimenti. Dove ha provato a “riformare”, infatti, la Sicilia è stata riformata. L’acqua, dicevamo. Ma la teoria è lunga: la bocciatura era giunta già dal Consiglio dei ministri per la legge di riforma del sistema dei rifiuti, per quella sugli appalti, per quella, ovviamente, riguardante le Province. Abolite, secondo il governatore festante di inizio legislatura. Solo commissariate per quattro anni, dirà la storia recente. Con tanto di beffa: la decisione, dopo ore e ore d’Aula, disegni di legge approvati e bocciati, assessori che si sono vorticosamente dati il cambio, di recepire interamente la legge nazionale. Come poteva essere fatto fin dall’inizio.
E prima ancora, le puntualissime impugnative-choc del Commissario dello Stato, che arrivò a cancellare metà della prima finanziaria di Crocetta. Quando Carmelo Aronica andò via, insieme alla norma che prevedeva la verifica delle leggi da parte del Commissario, in tanti tirarono un sospiro di sollievo. Ma nella pratica, non cambiò nulla. A confermare che il problema non stava a piazza Principe di Camporeale, sede appunto del prefetto incaricato di verificare quelle leggi, ma tra gli scranni di Sala d’Ercole e le poltrone della giunta.
Assai affollate, queste ultime. E il continuo viavai di assessori è un po’ il termometro dello sfascio. Dimostrazione chiara e fattuale di una assenza totale di progetti, di una minima pianificazione, di una idea stessa di governo. Oltre quaranta, ad avvicendarsi sulle poltrone della giunta. E potrebbe non essere finita qui. “Serve un chiarimento nel governo” ha detto pochi giorni fa Crocetta, facendo presagire un nuovo, ennesimo rimpasto. Inutile e dannoso quasi quanto gli altri. A sei mesi da elezioni che, comunque vada, cambieranno tutto.
Ma c’è, in quel richiamo di Crocetta alle verifiche con gli alleati, una specie di richiamo a una corresponsabilità. Perché se è vero che le gaffe, la frenesia mediatica, il populismo giudiziario, le imposture legalitarie, hanno finito per soppiantare qualsiasi speranza di una rivoluzione annunciata, qualsiasi passo avanti, è anche vero che gli altri palazzi non sono stati da meno, e i partiti che si sono assunti la responsabilità di tenere tutto in piedi non possono oggi tirarsi fuori.
E nemmeno recitare il ruolo di chi un giorno recita con espressione contritala parte di chi è rimasto lì controvoglia, per “senso di responsabilità” per poi, il giorno dopo, mettere cappelli e cappellini su risultati più o meno reali, o più o meno parziali. Solo un esempio, mentre il governatore e i suoi alleati e persino i suoi avversari interni sbandierano i risultati di un bilancio, “finalmente risanato”, dimenticano tutti, che le scelte di governo e i voti dell’Assemblea, hanno nel frattmepo indebitato per quasi 4 miliardi, tra mutui e anticipazioni di cassa i siciliani che dovranno pagare in qualche caso per i prossimi trent’anni. Per non parlare del resto.
Perché imbarazzante è stata la gestione della vicenda disabili. Dimenticati per anni, messi all’angolo della vita amministrativa e politica del governo. Salvo poi riscoprirli quando i riflettori delle tv li hanno fatti emergere dall’oblio per qualche giorno. Ed ecco, a sei mesi dalle elezioni e dopo quattro anni di nulla, apprendere che per Crocetta e per tanti deputati che nel frattempo avevano sonnecchiato, “i disabili sono una priorità”. Ma dovunque ti giri, dalla Sanità nuovamente scesa, stando alle prime indiscrezioni del ministero, nelle graduatorie dei Livelli essenziali di assistenza mentre parlamentari si ostinavano a difendere reparti e primariati in ogni provincia, alla Formazione professionale moralizzata (dalle Procure) ma ferma da oltre due anni a causa dell’incapacità o impossibilità di mettere su un bando prima e una graduatoria poi che fosse intangibile dalle ombre dei Tribunali amministrativi. Dovunque guardi la polvere delle macerie è densa.
E a fare da spalla a questi governi, dicevamo, in maniera consapevole o solo per insipienza o indolenza, è stata l’Assemblea regionale siciliana. Quella che ha messo la firma sulla riforma dell’acqua demolita dalla Consulta. La stessa che esultava col governatore per l’abolizione delle Province. La stessa che ha costretto – non parliamo della classe di una scuola elementare – il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone a scrivere ai big dei partiti: “In Aula troppe assenze, i deputati assicurino almeno il numero legale”.
Troppe assenze, di una maggioranza che non c’è. Litigiosa, divisa, ormai proiettata verso le elezioni. Verso il “si salvi chi può”. Verso la fine di una parentesi scandita dagli errori, dalle divisioni, dagli spot quasi mai diventati realtà. E il nuovo caos è già all’orizzonte. Domani arriva in Aula il cosiddetto “collegato” alla Finanziaria: 89 articoli per centinaia di nuovi emendamenti. Il colpo di grazia alla legislatura. Il sipario su cinque anni che, dovunque si guardi, sono da dimenticare.
Pubblicato il
08 Maggio 2017, 06:10