20 Aprile 2010, 13:32
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Mettiamo che uno abbia bisogno di una di quelle fantasmagoriche strutture chiamate “ospedali siciliani”. Mettiamo che uno debba prenotare un esame. Mettiamo che uno sia costretto a recarsi al Cup di Villa Sofia. La sigla significa Centro Unico per le Prenotazioni (crediamo). Mettiamo che il protagonista della storia sia un giornalista, per una volta “utente” (brrrr). Privilegio unico e ineffabile: passare una mattinata con la Sanità e raccontarla dal vivo, dopo averla narrata dal morto, anzi dai morti che ogni tanto transitano nelle statistiche terapeutiche e operatorie dei cosiddetti “ospedali siciliani”. Sì, “con” la Sanità, non “nella”, o “presso la”. Con. Perchè la Sanità siciliana non è un settore uguale agli altri. E’ una creatura che brilla di luce propria nella mitologia del nostro quotidiano. E’ viva, la puoi prendere a braccetto, puoi parlarle, puoi perfino mandarla a quel paese, se ti va. E’ una cosa di cui si sente chiacchierare spesso sugli autobus o nei bar. Vederla da vicino è un’occasione per cui si dovrebbe pagare una tassa apposita.
Il Cup di Villa Sofia è l’anticamera dell’ospedale. Vi si accede tramite un comodo scivolo. Siamo sulla soglia, nella fase neutra della prenotazione. L’ospedale vero, con i suoi cateteri, col suo dolore, col suo odore di carne umana, comincia solo un poco più avanti.
Al Cup c’è una sorta di acquario traslucido e dietro ci sono due signore dall’aria guardinga, come i fanti delle Sturm truppen in trincea. Sono loro che prenotano le visite e dirigono il traffico, premendo il bottoncino di un apposito telecomando per cambiare il numero dell’utente (brrr) chiamato allo sportello.
Quattro, cinque, sei sedie. La sala è stracolma. Il principio del posto a sedere segue una tacita convenzione di solidarietà sociale. Si lasciano accomodare, in primis, gli ultracentenari e via via giù, scorrendo la graduatoria. Al momento dei fatti che narriamo, le panchette sono occupate da un signore con evidenti tracce di mummificazione da turno lungo e da un paio di arzille vecchiette che sembrano appena uscite da una seduta col parrucchiere personale del Re Sole. Si attende con bovina pazienza. Due “prenotanti” – e non è colpa loro – sono troppo poche al cospetto della massa chilometrica. Si attende in silenzio. Qualcuno ha portato un giornale. Altri, più esperti, sfogliano la saga del “Signore degli anelli”, con l’intento di leggere fino all’ultima pagina.
Qui c’è la città che non ha santi in paradiso, né padrini che possano raccomandarla. Qui ci sono quelli che non hanno amici, che non riescono a saltare a piè pari gli inghippi della burocrazia. Qui ci sono i miseri che devono subire i ritardi, le inefficienze, le magagne della struttura pubblica. E subiscono, appunto, in silenzio. Da bravi sudditi hanno imparato che protestare è vano e potrebbe risultare anche dannoso. La signoria delle carte bollate non tollera lamentele. Trova sempre il modo di vendicarsi. Se volete, una metafora perfetta della Palermo sconfitta e silenziosa. E la sconfitta sta proprio nella rassegnazione con cui la gente sopporta la fila, senza nemmeno immaginare che dovrebbe avere davanti qualcosa di diverso, che potrebbe pretendere un servizio da persone umane, non da bovini supinamente acquartierati. Poche (innocenti) sedie. Pochi (incolpevoli) operatori. Troppa gente. E’ fatale che qualcuno dia di matto. Tocca, come sovente accade, a un vecchietto in riserva. Si avvicina allo sportello “Mi può dire se questo è il posto giusto per questo?”, dice, mostrando un foglio. Risposta da prammatica: “Faccia il turno”. Contro-replica: “Sì, ma mi può dire se questo è il turno giusto?”. Ancora: “Faccia il turno”. Il vecchietto sbarella, comincia ad agitarsi e pare che ci voglia un esorcista: “Ma insomma – strepita – che perde troppo tempo a dirmi un sì o un no!”. Si allontana, infine, proferendo contumelie irriferibili e antiche formule di maledizione.
E c’è l’esperto, il consumato utilizzatore finale di uffici pubblici. Evidentemente, non ha mai fatto altro in vita sua. Elargisce dei consigli e pure gratis. “Cerca l’Urp? Vada a destra, dove c’è il signore tignusu con gli occhiali. No, ‘sta pratica non va bene, signora. Ci vuole u’ bullu del dottore… Guardi che questo intervento non lo fanno più qua. Deve andare all’Ingrassia”. Un contratto di consulenza no?
La mattinata squaglia tra bambini con lacrimoni, madri nevrasteniche, padri irritati, anziani al limite della resistenza umana. Quando scocca l’ora del sottoscritto, la tragedia è già compiuta. Sempre l’esperto aveva appena appena avvertito con una faccia condolente: “Ragazzo mio, ha fatto un turno inutile. Per prenotare la visita, ci vuole la ricetta…”. Poco male, amico. Vuoi mettere il privilegio? Vuoi mettere una mattinata con la Sanità?
Ps. Gentile assessore Russo, i problemi della sanità siciliana non cominciano con lei. E noi crediamo alla sua voglia di fare, se non altro per disperazione. E in fondo delle cose narrate si può anche sorridere, perché sono disservizi da anticamera. Il punto è che prima o poi si deve passare per la porta che conduce nel cuore di un ospedale. E lì ogni inefficienza è una questione di vita o di morte. Perciò, assessore, la cambi davvero questa Sanità. Ma la cambi dal basso, girando tra le corsie, sfiorando anime, storie, corpi e persone. Solo loro – e non i numeri – le diranno sempre e comunque tutta la verità.
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20 Aprile 2010, 13:32