24 Gennaio 2010, 01:46
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Uno stillicidio continuo. Con annunci, precisazioni, emendamenti e sub-emendamenti da un lato. Dall’altro barricate, dichiarazioni-mantra a Palazzo Madama, critiche e controcritiche. Sullo sfondo, mentre la politica degli ultimi due anni manteneva costantentemente molto in alto nella propria agenda la legislazione sulla giustizia, una guerra: ventidue dei trenta latitanti più pericolosi arrestati, continui blitz contro colonnelli e “picciotti” semplici, ma soprattutto, in Sicilia come in Calabria, il rinnovato vento dello stragismo a soffiare, inquietante, contro magistrati, politici e – è notizia di questa settimana – persino contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
In Italia, al Sud, oggi, non è tempo per gli indugi. Le notizie degli ultimi giorni non sono incoraggianti: ben sei magistrati (il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, gli aggiunti di Palermo e Caltanissetta Antonio Ingroia e Nico Gozzo, il sostituto del capoluogo Gaetano Paci e il gip nisseno Giovanbattista Tona), un politico – l’eurodeputato Rosario Crocetta – e un giornalista, l’inviato de L’Espresso Lirio Abbate, sarebbero finiti nel mirino delle cosche, ma già un mese fa “S” aveva svelato l’esistenza, nei pizzini sequestrati a Mimmo Raccuglia, della traccia di un piano di morte contro Ingroia. Segno che la mafia, colpita al cuore dalle ultime indagini, ha deciso di riprendere in mano lupare e tritolo, di lanciare quell’offensiva contro lo Stato che aveva caratterizzato la gestione Riina di Cosa nostra.
L’altra novità del 2009 è la riapertura delle indagini sulla trattativa. Quella stagione è un macigno per tutti, non per una parte politica: fare chiarezza sui rapporti fra lo Stato e Cosa nostra, sull’esistenza di una contropartita per la fine delle stragi e per l’arresto di Totò Riina, è un dovere che ciascun italiano deve sentire come proprio. Ne va del nostro senso della democrazia, delle istituzioni, della giustizia in senso lato: non potremo infondere nei nostri figli il principio della fedeltà alla Repubblica, non sentiremo noi stessi garanzie sullo Stato di diritto finché non sarà fatta chiarezza su quel perverso intreccio, sulla vicenda più torbida della storia recente. È probabilmente contro queste indagini che la mafia si ribella: a Cosa nostra la permanenza in vita di quei segreti, ma anche semplicemente la persistenza di un elemento che indebolisce il rispetto dei cittadini per le istituzioni, creando il brodo di coltura per la fiducia nell’anti-Stato, fa gioco più di ogni altra cosa.
Il quadro che emerge dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino è inquietante. Al di là della credibilità, tutta da verificare, del figlio di don Vito, nei suoi interrogatori – raccolti nel libro “Nel nome del padre”, un volume di 368 pagine in edicola con il numero di questo mese di “S” – si intravede uno spaccato di quella che era Palermo appena qualche anno fa: Bernardo Provenzano libero di muoversi per il centro della città, l’ex sindaco del Sacco di Palermo pronto a ricevere il Capo dei capi ai domiciliari e una fitta corrispondenza fra mafia e politica. Massimo Ciancimino, del resto, sta pagando sulla propria pelle le dichiarazioni fatte agli inquirenti: la riapertura delle indagini sul suo ruolo nella trattativa è un segnale di equità della magistratura, che – se si fosse mossa con scopi punitivi nei confronti di qualcuno in particolare – avrebbe potuto tranquillamente “dimenticare” di iscrivere un teste così prezioso nel registro degli indagati.
Quel che serve, adesso, è una moratoria sulle riforme della giustizia. Silvio Berlusconi, da qualche tempo, dice a ogni pie’ sospinto che il suo è il governo che più ha fatto contro la criminalità organizzata. Angelino Alfano, da siciliano e persona intelligente qual è, avverte sicuramente più di altri l’esigenza di combattere Cosa nostra. Ebbene, adesso la politica, questa maggioranza, se davvero vuol dimostrare il proprio impegno contro le mafie, faccia i conti con se stessa: rinunci per due anni a mettere mano all’ordinamento della giustizia e alle guarentigie costituzionali per i parlamentari, garantendo ai magistrati la possibilità di tornare a lavorare sereni, in un quadro non provvisorio di regole. La politica, in tempo di crisi economica, troverà senz’altro argomenti differenti, e più vicini ai problemi reali del Paese, di cui occuparsi. Gli italiani ringrazieranno.
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24 Gennaio 2010, 01:46