21 Febbraio 2011, 16:54
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La sentenza della Cassazione, che ha chiuso il processo Cuffaro con una definitiva affermazione di colpevolezza dell’imputato principale per il grave reato di favoreggiamento mafioso, sembra abbia risvegliato le solite “anime belle”, che si erano forse un po’ assopite. Infatti, dopo anni di polemiche riduzioniste sul tema dei rapporti mafia-politica, ostentatamente negati, nonostante le tante sentenze che avevano consacrato (anche) condanne di importanti politici per collusione con la mafia, si è finora sempre cercato di sminuire e negare. E così, se veniva riconosciuto colpevole di associazione mafiosa uno dei padri della cosiddetta “Prima Repubblica”, come il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, si rimarcava che però il reato era ormai prescritto e che per il resto Andreotti era stato invece assolto. Ed ancora, se veniva condannato, in primo ed in secondo grado, per concorso esterno in associazione mafiosa uno degli artefici della cosiddetta “Seconda Repubblica”, come il senatore Marcello Dell’Utri, si evidenziava che però l’imputato in appello era stato assolto per il periodo più propriamente “politico”, e cioè quello che andava dal 1992 in poi, e che, comunque, bisogna attendere la Cassazione… Ed infine, se venivano condannati con sentenza definitiva, ed andavano in carcere, politici di rango come Franz Gorgone, con un passato di incarichi governativi e parlamentari nazionali, o Vincenzo Inzerillo, già assessore e vicesindaco di Palermo oltre che senatore, si minimizzava lo spessore politico dei condannati e si contrapponevano invece con ben altra enfasi i casi dei politici definitivamente assolti come l’ex ministro Mannino o l’ex presidente della Provincia Musotto. Con il risultato, così, di ignorare la questione del rapporto mafia-politica. Attaccare la magistratura, magari anche solo per parlar d’altro, così nascondendo il problema.
È esattamente come si fece per decenni con la mafia. All’inizio si negava che esistesse. Poi, quando non lo si poteva più fare, si creavano cortine fumogene per attaccare i magistrati antimafia, i Falcone e i Borsellino, accusati di essere “giudici-sceriffi” poco rispettosi delle garanzie individuali. Nello stesso modo, negli ultimi anni, con il rapporto mafia-politica. Prima, negarne l’esistenza. Poi, quando diventa impossibile farlo in modo diretto, parlar d’altro: la magistratura giustizialista, i processi sbagliati, i politici innocenti ingiustamente accusati, eccetera. L’importante è nascondere l’altra faccia della luna: ignorare le condanne ed i condannati, per non fare mai i conti con quella verità più difficile da affrontare. Ora, improvvisamente, la sentenza del processo Cuffaro, con la sua rapidità ed inequivocabilità di esito, sembra aver avuto l’effetto di una secchiata d’acqua gelida sulla testa dei siciliani che li ha risvegliati da un sonno fin troppo prolungato, quando si sono resi conto di avere eletto loro presidente un uomo che ha colluso con la mafia, la stessa mafia che aveva ucciso trent’anni prima un “altro” presidente come l’onorevole Piersanti Mattarella.
Ma per fare tesoro di questa esperienza traumatica, completata dalla carcerazione dell’imputato, non serve trasformare Cuffaro in un capro espiatorio, ma occorre comprendere che questo momento può essere uno spartiacque per tanti. A cominciare dalla parte migliore del ceto dirigente siciliano che dovrebbe liberarsi definitivamente da un certo modo di fare politica, che con la mafia non solo convive, ma tresca, si allea, combina affari. Dipende dalla capacità di rinnovamento della classe dirigente isolana fare di questa fase delicata un momento di riscatto e di progresso. Ma la storia ci insegna a non nutrire troppo illusioni. Troppe le occasioni sprecate, a volte intenzionalmente…
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21 Febbraio 2011, 16:54