Un’impronta di sangue sul muro

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04 Aprile 2015, 18:32

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CATANIA – L’impronta di dita sporche di sangue sul muro bianco. Chissà se i residenti del civico 2 del viale Castagnola dopo i rilievi della Scientifica hanno cercato di cancellare quella traccia lasciata lunedì sera da Giovanni Di Bella, freddato sotto casa da una mano spietata. Aveva solo 45 anni, un rigattiere, ucciso senza un vero perchè. Aveva “osato” alzare la voce contro un 19enne per difendere il figlio adolescente. Un gesto naturale per qualsiasi padre, ma che Alessio Marino non avrebbe “gradito”.

“Tu non sai chi sono io!”. Magari non sono queste le parole esatte ma lo è il significato della frase che sarebbe stata ben scandita da chi a 19 anni ha già un curriculum criminale corposo. Uno sgarro quello commesso dal padre a chi a Librino è un “uomo da rispettare”. Lo dimostra anche lo scudo di omertà che è stato alzato dopo il delitto. I tre spari esplosi alle 20.30 davanti al portone hanno scosso i palazzi. Sono stati i vicini ad aiutare Giovanni Di Bella a raggiungere l’ambulanza del 118. Ma collaborare con i carabinieri era un passo troppo avventato. Paura e terrore in questo scorcio di città dove si è tornato a sparare.

I fratelli Marino sono conosciuti: seminano il terrore. Nel 2012 Alessio (all’epoca ancora 16enne) insieme al fratello Gaetano finisce in manette insieme ad altre 8 persone con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di rapine e furti, aggravata dall’uso delle armi. I carabinieri li avevano descritti come una  banda specializzata in assalti in bar, distributori di benzina, di una gioielleria e anche ai danni di passanti. Qualche mese dopo toccò al padre Raffaele finire in carcere con l’accusa di estorsione.

I Carabinieri, a maggio del 2012, fecero irruzione nell’appartamento di viale Librino e arrestarono i due fratelli. Le indagini presero corpo da un omicidio: quello di Rosario Sciuto del clan Mazzei ucciso il 25 novembre 2011. Il mirino degli investigatori si concentrò fin da subito sui Marino: venne scoperto che i due sarebbero stati a capo di un gruppo di giovani, tutti di Librino, particolarmente violenti.

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Una gang che aveva la protezione e l’appoggio dell’uomo d’onore e trafficante di droga dei Santapaola Fabrizio Nizza, da poco diventato collaboratore di giustizia. Da qualche mese indagini e dichiarazioni di altri pentiti farebbero ipotizzare per una vicinanza della famiglia Marino alla cosca Cappello, da cui si rifornirebbe di droga per la piazza di spaccio che gestirebbe a Librino. Il dato inquietante è che la gang (molto violenta) potrebbe contare anche sulla disponibilità di armi. Un arsenale da cui Alessio Marino avrebbe prelevato una pistola per puntarla contro Di Bella e da cui avrebbe esploso tre colpi. Uno lo ha centrato al torace. La pallottola fatale.

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04 Aprile 2015, 18:32

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