Università, baroni e nepotismo |Micari e Lagalla: non generalizzare - Live Sicilia

Università, baroni e nepotismo |Micari e Lagalla: non generalizzare

I due rettori in corsa per le Regionali commentano le notizie dell'inchiesta di Firenze.

L'inchiesta di Firenze
di
3 min di lettura

PALERMO – L’inchiesta di Firenze sull’università: scandalo o scoperta dell’acqua calda? Nepotismo e spartizioni di cattedre tra amici sono un vizio antico e diffuso negli atenei italiani o un fenomeno isolato? L’anno scorso due ricercatori (italiani) dell’Università di Chicago hanno analizzato i cognomi di 133mila ricercatori italiani, francesi e delle migliori università pubbliche Usa e hanno analizzato tutto. Non sorprese nessuno che gli italiani fossero primi per comunanza di cognomi.  “Il nepotismo segnala un problema più generale nel reclutamento. Se un professore può mettere in cattedra il figlio, allora potrà mettere in cattedra chiunque”, commentava uno dei due autori della ricerca, Stefano Allesina. La Sicilia non farebbe eccezione. Qualche anno, era il 2008, fa La Repubblica calcolò che solo a Palermo tra professori, ricercatori e compagnia bella ci fossero qualcosa come 230 “parenti di”.

E così, l’inchiesta fiorentina, che tocca anche gli atenei siciliani, non sembra aver stupito più di tanto l’opinione pubblica. Eppure, è proprio dal mondo dell’Università che la politica ha attinto soprattutto ultimamente per un ruolo di supplenza. Basti ricordare il “governo dei professori” di Mario Monti. O senza andare troppo lontano, buttare in occhio alle elezioni regionali siciliane. Che vedono candidato alla presidenza l’attuale rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, e in corsa, non da presidente ma da assessore in pectore, il suo predecessore Roberto Lagalla.

A loro Livesicilia ha chiesto di commentare, partendo dalle notizie dell’inchiesta di Firenze, il tema del “baronaggo” nelle università. Micari risponde non nelle vesti di rettore ma in quelle di candidato alla presidenza: “C’è una indagine in corso. Le università rispetteranno gli esiti e le eventuali sentenze. Auguro però che non si innesti una campagna che screditi il mondo delle università che nella stragrande maggioranza è costituita da gente che fa il proprio dovere rispettando il merito e portando avanti ricerca e formazione”, dice a Livesicilia.

Roberto Lagalla è sorpreso dalla vicenda oggetto dell’indagine di Firenze. “Intanto mi sembra strana la vicenda in sé che fa riferimento alla abilitazione nazionale che fa capo a procedure nazionali con commissioni sorteggiate dal ministero e non dalle università. Mi pare strano che una procedura che non ha numeri chiusi preventivati dia adito a possibili inghippi di questo genere – osserva l’ex rettore, leader di Idea Sicilia -. È una procedura che per le materie tecnico-scientifiche è basata su numeri chiari e determinati. Io stesso faccio parte di una commissione e si tratta quasi di un lavoro notarile. Certo, capisco che in alcuni settori disciplinari come l’area giuridica e degli studi umanistici la valutazione ha minori elementi quantitativi e quindi l’area di discrezionalità aumenta. E in questi casi possono aprirsi ragionamenti di tipo poco chiaro. Credo che la vicenda sia tutta da accertare anche perché si tratta di docenti in quiescenza da tempo”.

Ma queste università sono sempre il posto dei baroni e del nepotismo? “Nel mio settennato anche grazie alla modifica di alcuni canoni per il reclutamento dei docenti, l’Università di Palermo è stata molto meno segnalata del passato per casi di nepotismo o familismo. Negli ultimi cinque anni non se ne sono registrati in maniera tale da destare l’opinione pubblica”.

“È chiaro – prosegue Lagalla – che questa vicenda trascende completamente dall’Università di Palermo perché si svolge tutta al di fuori delle competenze dell’università. Poi, io conosco la scuola di diritto tributario, sia il professore Parlato, che è andato in pensione lo stesso giorno in cui mi sono insediato da rettore, tanto che fu lui il decano a proclamarmi. E poi conosco la probità dei comportamenti sempre legittimi del professore Sammartino”.

Qualche “figlio di” e qualche “nipote di” in meno renderebbero le università più credibili? “Nessuno si meraviglia che il figlio di un regista o di un calciatore facciano il lavoro del padre”, risponde Lagalla. già, ma quelli non accedono da un concorso pubblico. “Certo. L’aria che respiri in famiglia ti può portare a scegliere un percorso emulativo. Il problema vero è che nessuno può avere strade privilegiate. Non vanno condannati i ‘figli di’ in quanto ‘figli di’ ma valutati per le loro capacità. Certamente di abusi ne sono stati fatti in passato ma non so se questo è un abuso”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI