31 Maggio 2010, 07:59
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di ELENA DI DIO Non ha certo la potenza d’urto dell’Onda che lo scorso anno ha messo in agitazione rettori, docenti e ancor più il ministro dell’Università e della ricerca scientifica, Mariastella Gelmini, ma la protesta degli studenti siciliani comincia a montare. Da Palermo a Catania, da Catania a Ragusa fino ad Enna e Messina. In queste città, sedi di atenei e corsi di facoltà, in alcuni casi sedi decentrate, consorzi universitari che – sostengono inviperiti i rappresentanti degli studenti – servono più a garantire nuove cattedre che servizi e lezioni a chi si iscrive. A metà maggio, i rettorati delle tre università siciliane sono stati occupati simbolicamente dal movimento docenti, precari e studenti che chiedono la revoca del decreto Gelmini, che ha previsto un taglio di 57 mila posti già entro quest’anno per arrivare a 100 mila il prossimo anno. Sotto la scure finiranno docenti e personale Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari). Tagli che – lamentano gli studenti – si ripercuoteranno sull’offerta formativa e la didattica e metteranno definitivamente in crisi il già precario mondo dei ricercatori. Tagli anche ai trasferimenti che il ministero della Gelmini accredita nelle casse delle Università di tutta Italia. Dal Fondo di finanziamento ordinario – dove gli atenei italiani sono inseriti in una classifica stilata fra l’altro per il rapporto docenti studenti, premialità di risultati nella didattica e nella ricerca – saranno tagliati 650 milioni di euro. Così alle università siciliane, già costrette a subire pesanti decurtazioni nel 2010, dovranno fare i conti secondo le prime stime previsionali con altri consistenti detrazioni al plafond previsto dal ministero: succederà quindi che a Catania (trentottesima nella classifica del Fondo) dovrebbero andare 180,5 milioni di euro contro i 199 trasferiti nel 2009; a Messina (51esima nella classifica nazionale) andrebbero 157,5 milioni di euro contro i 177,5 del 2009 ed a Palermo (52esima) dovrebbero essere trasferiti 221 milioni invece dei 243,3 milioni dello scorso anno.
Succede così che gli atenei si attrezzino come possono: tagliando i corsi “inutili”, almeno queste sono ripetutamente le motivazioni ufficiali in calce alle decisioni dei senati accademici o i consigli d’amministrazione delle università regionali, per far fronte a questo sfacelo economico. A Messina dopo la cancellazione del corso magistrale in Ingegneria informatica a metà di aprile scorso, rischia di saltare, secondo i rumors nei corridoi del rettorato di piazza Pugliatti, anche la triennale di ingegneria informatica. A Catania, alle pendici dell’Etna, invece chiuderà il corso di laurea in scienze geologiche, la facoltà per intendersi che sforna decine e decine di ricercatori (precari anch’essi) che mandano avanti l’Ingv, l’istituto nazionale di geologia e vulcanologia. Palermo dice addio a Lingue moderne per il Web. Non solo tagli alla didattica ma anche aumenti delle tasse universitarie. A Catania, dove resta occupata un’aula della facoltà di Lingue – per la coincidente protesta degli studenti contro il rischio di trasferimento a Ragusa del corso di laurea – il collettivo studentesco, le associazioni e i comitati hanno protestato in piazza contro l’aumento del 38% delle tasse universitarie, già all’esame del senato accademico ed ad un passo dall’approvazione definitiva. Ed è proprio dall’Università di Catania che arriva la proposta: “Qualora un’abrogazione della tassa regionale per il diritto allo studio non possa essere cancellata o inclusa nella tassa d’iscrizione, chiediamo che la Regione Sicilia utilizzi il Fondo integrativo regionale per il diritto allo studio per rimpiazzare questi aumenti”, dicono convinti gli universitari di Catania che insieme ai colleghi di Palermo ha stilato un documento programmatico da consegnare ai rispettivi Consigli d’ateneo. Tra i punti, anche la richiesta di una “parziale copertura delle borse di studio per gli studenti risultati idonei attraverso un investimento delle regioni sui rispettivi fondi integrativi”.
“Vanno bene le tasse ma quelle che paghiamo – sottolineano dall’università etnea – sono delle cifre che includono nel prezzo la previsione che la Regione intervenga a sostegno dei suoi studenti e ricercatori. Non solo siamo costretti a pagare vitto e alloggio ma ci aumentano anche le tasse del 38%. Con questo sistema, invece, la tassa regionale acquista valore. Nel senso che pagarla servirà ad ottenere dei servizi destinati a tutelare le fasce deboli”. L’atto dell’Università di Catania, per l’aumento delle tasse, comunque, è il primo documento ufficiale degli atenei alle prese con l’aggiornamento dell’offerta didattica e con le misure economiche di contrasto ai disastri economici dei bilanci accademici. La protesta dell’Onda quindi, comincia a montare. E c’è da giurare che dopo la sessione estiva d’esami e col supporto degli studenti dei licei, da settembre sarà un caos vero.
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31 Maggio 2010, 07:59