10 Giugno 2017, 05:02
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CATANIA – “Ho sentito gridare una donna, era solo una donna che urlava, ma non chiedeva aiuto”. C’è una testimonianza in mano alla Procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro, che racconta gli attimi terribili dell’omicidio di Maria Concetta Velardi, commesso – secondo i magistrati – dal figlio Angelo Fabio Matà. LE FOTO DELL’OMICIDIO
A parlare è una delle tre testimoni, in particolare una donna che si trovava a poche decine di metri dal luogo del delitto, che non ha visto bene cosa accadeva, ma ha sentito tutto. E il dato più agghiacciante, che traspare dall’interrogatorio, è che l’anziana signora, durante una fase iniziale concitata non ha chiesto aiuto, forse perché non ha avuto il tempo di farlo, forse perché guardava negli occhi chi la stava massacrando: il figlio secondo gli inquirenti.
I VERBALI – “Mi trovavo dietro la cappella di mia figlia, ho sentito gridare una donna, dette urla le avevo attribuite inizialmente a un forte dispiacere”. Inizia così il racconto della testimone, C.G., che si era recata al cimitero “intorno alle 15.15 – 15.20”. “Era solo una donna che urlava – continua – ma non chiedeva aiuto. Le urla sono durate qualche minuto, circa 5 minuti, dopo si sono interrotte”.
Ma non è finita, dopo qualche minuto, la vedova Velardi avrebbe ricominciato a gridare. “Dopo un po’ di tempo, credo cinque minuti, ho sentito nuovamente la stessa donna che avevo sentito prima urlare. Ripeto, ho distinto essere grida sempre della stessa donna, però questa volta le urla le posso classificare come un violento litigio e in questo caso erano a squarciagola, molto più forti di quelle di prima”.
Un litigio, quindi, un violento litigio. Racconta ancora la testimone: “Questo litigio è durato diversi minuti e poi le urla si sono interrotte improvvisamente e da quel momento non ho sentito più nulla, tengo a precisare che in entrambi i casi non ho sentito nessuna richiesta d’aiuto”.
La testimone localizza anche la provenienza delle urla, “provenivano dalla mia sinistra rispetto alla posizione dove mi trovavo, all’esterno della cappella di mia figlia”.
Dopo queste urla non ha sentito più nulla.
Erano circa le 16.30, orario che coincide con quello dell’omicidio. Si tratta di dichiarazioni che la Procura ritiene “particolarmente precise e attendibili, ciò è agevolmente giustificabile – scrivono i magistrati – con il fatto che in linea d’aria la donna si trovava più vicina alla cappella Matà rispetto alle altre due testimoni”.
Le dichiarazioni delle testimoni “collocano sul piano temporale – scrive la Procura – le urla in un lasso di tempo in cui sicuramente Angelo Fabio Matà si trovava con la madre e non aveva lasciato il cimitero”.
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10 Giugno 2017, 05:02