27 Giugno 2020, 06:01
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Mancava un minuto alle 21 quando il Dc-9 Italia venne giù. Era il 27 giugno del 1980, un venerdì sera. Il volo di linea IH870 partito da Bologna Panigale doveva arrivare a Palermo quella sera. Ma le ottantuno vite che viaggiavano su quell’aereo finirono nel mar Tirreno, vicino a Ustica. Uno dei più tragici e odiosi misteri della storia d’Italia, una vicenda costellata di segreti, bugie, presunti depistaggi, verità negate. Un “muro di gomma” di omertà, come venne definito. E come si intitola il film scritto da Andrea Purgatori, il giornalista che seguì per anni la vicenda di Ustica, trasponendola poi nel lungometraggio diretto da Marco Risi.
Oggi, quarant’anni dopo, diradato il campo da tante false piste, un’idea più o meno chiara su quello che accadde quella sera nel cielo sopra il mar Tirreno la si ha. O per lo meno si ha il quadro di uno scenario. Quella sera, nei cieli italiani si muovevano aerei militari di diversi Paesi. Erano gli anni della Guerra Fredda, la Libia del Colonnello Gheddafi era un nemico dell’Occidente, ma per l’Italia era qualcosa di diverso. In quell’affollata notte,un missile potrebbe avere abbattuto l’aereo civile che doveva atterrare a Punta Raisi e invece si trovò nel mezzo della linea di fuoco. Questa, almeno, è una delle teorie in una storia in cui la parola fine non è ancora stata scritta. Un’altra è quella della collisione. O meglio della “quasi collisione”, un sorpasso troppo ravvicinato che danneggiò l’ala.
Un’inchiesta della procura di Roma è ancora aperta per far luce sulla tragedia di 40 anni fa, dopo i processi sulle ipotesi di depistaggio e i risarcimenti in favore dei familiari delle vittime decisi in sede civile.
Andrea Purgatori in questi giorni è tornato a parlare di Ustica nel suo programma “Atlantide” su La7. Lo sentiamo mentre sta andando a Bologna, per la commemorazione del quarantennale. “Al contrario di quello che per decenni si sono affannati a sostenere i vertici militari dell’epoca”, ha scritto ieri sul Corriere della sera, il cielo quella sera “era affollato di caccia di molte nazioni: americani, francesi, britannici e naturalmente italiani”.
Purgatori, quarant’anni dopo sappiamo molto di più su quello che davvero accadde nel cielo sopra Ustica quella notte. Ma non tutto. Cosa manca in questo mosaico di verità?
“Lo scenario ce l’abbiamo, una fotografia nella sua complessità. Ci manca il punto centrale: chi ha sparato a chi. Non al Dc9, che si è trovato in mezzo. Manca un po’ questo, ma è un po’ come Assassinio sull’Orient express, ognuno dà una coltellata ma sono stati un po’ tutti”.
C’era un grande movimento quella sera nei nostri cieli.
“C’erano tutti: francesi, libici, americani, c’eravamo noi, perché se passa un aereo libico nei nostri cieli non è possibile che non ci sia la nostra complicità. La Libia era una nemica dei nostri alleati. Ma all’epoca noi italiani avevamo la moglie e l’amante: Gheddafi possedeva il 13 per cento delle azioni della Fiat, ci dava il 40 per cento dell’approvvigionamento energetico. Per noi era difficile avere lo stesso atteggiamento di francesi e americani con Gheddafi. E questo i nostri alleati non ce lo potevano perdonare”.
Però oggi quella schermaglia aerea con caccia Nato che puntano un Mig libico è qualcosa di più di un’ipotesi, malgrado ci siano state divergenti decisioni nei tribunali. Si è fatto un cammino verso la scoperta della verità?
“Lo abbiamo grazie alla Nato che ha fornito una documentazione che ha permesso di scoprire che quando i nostri generali dicevano che in cielo non c’era nessuno, c’era in realtà una quindicina di aerei miliari in azione”.
Tu in questi anni hai avuto contatti con i familiari delle vittime. Come la si vive un’esperienza simile per 40 anni?
“È come fare la maratona, ti devi attrezzare per fare un percorso lungo nel quale ci saranno momenti di crisi, situazioni in cui pensi di non arrivare al traguardo. Questa è una storia dove non puoi non procedere aggiungendo un pezzetto di verità a un pezzetto di verità. Cosa che ha fatto il giudice Priore. Quello fu il sistema, come in un puzzle. Priore veniva da un’esperienza col terrorismo italiano e internazionale che lo aveva allenato a un’indagine del genere”.
Quella di Priore fu una svolta.
“Sì, ma quando stai parlando di un intrigo internazionale devi andare a chiedere a Paesi che magari non ti rispondono o ti rispondono dopo mesi. Se poi lo Stato non vuole la verità… Pensa al caso Regeni: non può bastare il lavoro del magistrato”.
Per un pezzo si andò dietro alla teoria della bomba.
“Una cosa ridicola. Quella sera il Dc-9 parte con due ore di ritardo perché a Bologna c’è un temporale violentissimo. Spiegami come avrebbe dovuto fare un terrorista a prevedere la durata del temporale e stare con questa bomba in mano nell’attesa di salire sull’aereo. Poi, deve salire sull’aereo e senza essere visto deve piazzare la bomba e sparire e scappare. Tutto questo cozza contro ogni logica”.
E poi ci sono gli oblò rimasti intatti…
“Ma se vogliamo andare sui fatti, in quella toilette, dove doveva essere scoppiata la bomba, non c’è traccia di esplosivo. Il coperchio del porta salviette è perfettamente intatto. E quando al perito inglese hanno obiettato queste cose, lui ha risposto ‘anche io avessi visto il Dc-9 colpito da un missile continuerei a dire che è stata una bomba’”.
Qual è il tuo ricordo personale di quella sera?
“Io sono stato avvertito dopo un’ora. Mi chiamò un controllore dell’aeronautica militare da Ciampino per darmi la notizia e poi mi disse la frase ‘non ti far fregare perché l’hanno buttato giù’. Ma questo è il sospetto che avevano tutti quella notte”.
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27 Giugno 2020, 06:01