14 Novembre 2014, 14:38
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PALERMO – Era un solido ponte con la criminalità campana, con cui i boss di Brancaccio gestivano gli affari di Cosa nostra basati sul binomio droga e pizzo. I fiumi di sostanza stupefacente da piazzare nel mercato palermitano e le estorsioni permettevano allo storico clan un tempo sotto il comando dei fratelli Graviano di continuare a gestire il territorio. E nessuno, tra i commercianti finiti nel mirino degli esattori del pizzo, avrebbe nel frattempo denunciato.
L’operazione “Zefiro” della squadra mobile ha condotto a diciotto arresti smantellando il regno dei Graviano, al carcere duro ormai dal 1994. Gli stessi che andavano in giro per Milano a bordo di un’auto intestata al nuovo capo della cosca, Natale Bruno, considerato erede di Cesare Lupo, catturato nel 2011. A fare il suo nome già nel 2008, indicandolo come persona vicina alla famiglia di Brancaccio e soprannominata “Formaggino”, il collaboratore di giustizia Andrea Bonaccorso che lo collegò ad alcuni traffici di droga che ai tempi Bruno avrebbe portato avanti con il fratello Giuseppe. Anche il collaboratore Fabio Tranchina indicò Bruno come “amico” di Cesare Lupo, con cui si sarebbe recato ad un summit di mafia avvenuto nei locali di un autolavaggio di Brancaccio. “Questo Natale – disse – per quello che mi è sembrato di capire, è una persona che si occupa degli atti pratici” per conto della famiglia mafiosa di Brancaccio.
Le indagini della sezione Criminalità organizzata hanno accertato come le leve dell’economia mafiosa nella zona orientale cittadina – quelle tradizionali legate allo spaccio e al pizzo, e quelle connesse ai nuovi rapporti allacciati coi gruppi criminali campani – fossero coordinate proprio da Bruno, disposto a tutto per rimpinguare le casse del clan.
Tanto da adottare nuove strategie per fare soldi ed entrare in affari con i napoletani. Gli stessi che nel giugno di due anni fa soggiornarono a Palermo per mettere a segno una sfilza di furti ai danni di diversi istituti di credito della città. Andavano a colpo sicuro perché si avvalevano della copertura logistica di un uomo fidato del boss. I progetti dei campani con cui Bruno decise di sviluppare il “business” venivano studiati in ogni dettaglio. La percentuale di fallimento era praticamente ridotta a zero perché utilizzavano congegni e dispositivi applicati all’interno o all’esterno degli sportelli bancari di cassa continua, riuscendo ad impossessarsi di migliaia di euro. In pratica, facevano in modo che la cassetta impiegata dai correntisti per conferire il denaro non scendesse nella cassaforte. Poi la prelevavano e ne prosciugavano letteralmente i fondi.
Una volta presi gli accordi con i napoletani, questi ultimi dovevano però insegnare con precisione la tecnica ai boss di Brancaccio. Come si evince dalla conversazione intercettata tra il campano Vincenzo Montescuso e il palermitano Francesco Paolo Valdese, che nel 2012 stavano pianificando un colpo presso una succursale della Banca Nazionale del Lavoro della provincia
Montescuso: “Speriamo solo che in quel Bnl riusciamo a cambiare altre due cassette”
Maltese: “Per come dobbiamo fare cinquanta sessanta mila euro. Ma ora quando se ne parla? … Stasera?”
Montescuso: “Bnl stasera?
Maltese: “Stasera anche perché c’è anche il passio ha capito? Incompr…hai capito fratello? …e il Bnl ci vogliono tre o quattro sacchettini dentro. Ah. Ci vanno quaranta cinquanta mila euro. Settanta ottanta mila euro come capita … qua abbiamo le crisi addosso … o no?”
Montescuso: Abbiamo le crisi generali … iniziando dalla Sicilia fino a Napoli … questa è zona Bagheria qua?
Maltese: “No zona Aspra. Ah più in fondo c’è Bagheria … si arriva alla fine … Appena scendete.
Montescuso: “Francesco ormai tu hai capito il sistema qual è!
Maltese: “Eh? Ora tu devi… devi essere tu che te le devi guardare. Se no noi ti dobbiamo far vedere come devi mettere il segno perché tu devi fare un sistema no? Le trovi? Poi gli devi mettere un segno vicino e la devi andare a controllare il venerdì, se vedi che il segno non c’è niente. Uh. Allora vuol dire che lavora.
Maltese: “Ho capito”.
Montescuso: “Hai capito? Poi te lo spieghiamo noi… però stai attento sempre alle telecamere …”
E nel mese di giugno del 2012 furono quattro i colpi accertati. A partire da quello all’Unicredit di via Libertà, quando Vincenzo Montescuro, Antonio Zucchini, Santo Cozzuto ed Egidio Zucchini riuscirono ad impossessarsi di quattromila euro in contanti ed assegni per novemila e trecento euro appena depositati dal dipendente di una ditta. nel mirino finì anche l’Unicredit di via Empedocle Restivo, in cui la banda colpì, insieme a Maltese, per due giorni di seguito. L’8 e il 9 giugno per la precisione. Prima si impossessò dei soldi appena versati dal gestore di un distributore di benzina, poi di quelli di un assicuratore. E ancora, i napoletani coordinarono l’ennesimo colpo a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta: svuotarono la cassetta di un cliente della Banca del Credito Cooperativo Toniolo, la titolare di una tabaccheria che aveva depositato circa seimila euro.
Insomma, gli elementi di “modernità” venuti a galla durante le indagini camminavano insieme ai più tradizionali del meccanismo mafioso. Le rinnovate dinamiche e i nuovi business, infatti, non escludevano di certo i vecchi sistemi delle estorsioni nell’ex regno dei fratelli Graviano, che in questo modo, alimentava il proprio patrimonio grazie alla raccolta del pizzo mirata al sostentamento delle famiglie dei carcerati. Bruno stesso si vantava di non avere mai utilizzato i soldi ottenuti per interessi “privati” e colui che viene ritenuto il suo braccio destro, il 49enne Maurizio Costa, partecipava puntualmente alle raccolte del pizzo e si metteva a “disposizione” per qualunque altro tipo di attività volta a riempire le casse della cosca. Costa è stato già coinvolto nell’inchiesta su via D’Amelio: la Fiat 126 usata nella strage Borsellino passò dalla sua officina, ma ai tempi non era ancora stato accertato alcun collegamento con Cosa nostra. Era lui a fare il giro dei negozi e a chiedere i soldi, ma più volte la sua presenza e complicità con Bruno sono state accertate all’interno della centrale dei pagamenti del pizzo, il magazzino in via Gaetano Di Pasquale, 8, di Natale Bruno. Quest’ultimo nelle ultime settimane si trovava però a Milano: il regista delle operazioni criminali della cosca di Brancaccio è stato catturato in piazzale Corvetto e gli investigatori non escludono che volesse lasciare l’italia.
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