24 Ottobre 2010, 11:16
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Un giovane vivandiere, un appartamento a disposizione del boss e un’intera famiglia che potrebbe essersi mobilitata per favorire la latitanza di Gerlandino Messina.
E’ questo il quadro che gli inquirenti profilano, ma con cautela, all’indomani dell’arresto del secondo superlatitante più pericoloso d’Italia – prima di lui c’è solo Messina Denaro. Determinante, per individuare gli “amici del cuore” del boss è stata un’informativa dell’Aisi.
Con il boss di Porto Empedocle è finito in manette anche il suo vivandiere, Calogero Bellavia, ventiquattro anni, incensurato. La casa, dove il boss potrebbe aver latitato per mesi, era del nonno della fidanzata di Bellavia. Il vivandiere, la giovane fidanzata, ventitre anni appena e il nonno di questa sono stati sottoposti, la notte scorsa, a un interminabile interrogatorio da parte degli inquirenti. Al momento, la giovane donna e l’anziano sono in stato di libertà. Sulla loro posizione, gli inquirenti non si sbilanciano. Dicono si tratti di un’altra indagine, per cui non è escluso il colpo di scena da un momento all’altro. Il comodo appartamento di via Stati Uniti era monitorato osservato ormai da settimane, solo da qualche giorno, però, la certezza che all’interno vi fosse Gerlandino.
“Non lo abbiamo mai visto fino all’arresto – dice il maggiore Salvo Leotta, a capo del reparto operativo dei Carabinieri di Agrigento. La certezza però c’era. Tanti, troppi movimenti e questa persona che entrava e usciva con i pacchetti per il pranzo e per la cena”.
Lui, Gerlandino Messina, per non destare sospetti se ne stava barricato in casa dalla mattina alla sera, sopportando anche il buio delle persiane chiuse e il silenzio di una palazzina disabitata.
Certo chi lo favoriva non gli faceva mancare nulla: cibo, possibiltà di scambiare quattro chiacchiere e forse di aggiornarlo in merito alle novità della consorteria e ancora riviste, supporti informatici e tanti capi di abbigliamento.
Nell’appartamento/covo è stato ritrovato un libro su Totò Riina, e ancora telefonino, due computer, qualche rivista, ma anche una decina di pizzini. Materiale che passerà al setaccio dei corpi speciali dell’Arma. Elementi che potrebbero essere determinanti per smagliare la rete di mafiosi, fedelissimi all’ultimo boss della mafia agrigentina.
Il procuratore generale Messineo e l’aggiunto Teresi hanno pochi dubbi: “la competenza informatica non era del boss”.
Che Gerlandino non fosse Pico della Mirandola era noto ai più.
Aveva scalato i vertici per ferocia e non per abilità intuitiva. Diverso dal suo ex capo Falsone – sì crudele ma più ponderato nelle scelte da fare e poi con ottimo fiuto per la contabilità e per i supporti informatici – ha dimostrato anche ieri l’indole da guasconea. Uscito dalla sede del reparto operativo dei carabinieri, Gerlandino ha sorriso smargiasso, ha salutato i tanti familiari, che lo aspettavano nel cortile del comando. Applausi, ma non per i carabinieri. Le mani, scrosciate dalla famiglia Messina, erano un omaggio per il boss, per il sanguinario, che ora dovrà scontare, in primis, una condanna all’ergastolo per una lunga fila di omicidi.
La gente, quella di Favara, quella di Porto Empedocle – patria del boss- quella di Agrigento però resta in silenzio.
C’è un muro di omertà che non consente alla gente comune di fare festa per una vittoria della giustizia.
Gli agrigentini si barricano nel silenzio ingiusto della paura o peggio dell’accondiscendenza, la stessa che a Favara potrebbe aver protetto il boss.
Ad Agrigento, a Favara in particolare, gli imprenditori ora si sentiranno liberi? Gli inquirenti sono scettici.
“Non pensiamo le cose cambino da un giorno all’altro – dicono tanto il colonnello dei carabinieri Mario Di Iulio, quanto i magistrati della DDa di Palermo. Se gli imprenditori agrigentini si fideranno dello Stato, forse le cose inizieranno a migliorare”.
Ora occorre capire se a Favara – terra senza concorrenti del racket agrigentino – la mafia sia riverita per timore o perchè fa comodo, perchè consentirebbe un facile “vivi e lascia vivere”.
Un interrogativo che rimbalza e che fa pensare al successore, al prossimo uomo chiave della consorteria. Perchè, e il procuratore aggiunto Vittorio Teresi non si stanca di ribadirlo, “la mafia non lascia mai vuoti e noi non possiamo abbassare la guardia”.
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24 Ottobre 2010, 11:16