19 Marzo 2019, 06:04
2 min di lettura
PALERMO – Tre persone ammazzate e una gambizzata. Episodi senza alcun legame, se non quello – e non è poco – della facilità con cui a Palermo si ricorre alla violenza.
Martedì scorso il commercialista Alfonso Fantauzzo viene ferito con un colpo di pistola alla gamba. Due giorni dopo Giovanni Colombo crivella di colpi Antonino e Giacomo Lupo, padre e figlio, che tentanto la fuga fra i padiglioni dello Zen. Domenica notte qualcuno spara un colpo di pistola alla testa di Giovanni Manzella.
Dalle questioni personali agli affari della droga: le indagini dei poliziotti, come sempre accade, all’inizio si muovono su più livelli. Al di là di quali saranno i risultati, la cronaca racconta di una giustizia fai da te. È facile reperire una pistola, è facile armarsi, è facile ammazzare. Tre episodi in meno di una settimana che obbligano ad aggiornare le statistiche. Alla recente inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto di Palermo gli omicidi volontari risultavano in calo del 42% (58 contro 100), quelli consumati del 26% (da 65 a 48).
Al di là dei freddi numeri i tre recenti episodi raccontano di una Palermo che mostra il lato peggiore e oscuro di sé. La violenza cova fino ad esplodere nelle sacche di una città dove vige la legge del più forte. E il più forte è colui che preme per primo il grilletto. E lo fa con una precisione che lascia sgomenti. Come nel caso di Francesco Manzella a cui il killer ha sparato a bruciapelo un solo colpo alla testa. Manzella faceva lo spacciatore e probabilmente si è trattato di un regolamento di conti nel mondo della droga.
Violenza chiama violenza: ecco spiegata la preoccupazione di magistrati e forze dell’ordine. Si spara e si uccide e non per forza c’entra la mafia (gli omicidi di Cosa Nostra servono ad eliminare i rami secchi e i boss agiscono in maniera chirurgica come estrema ratio). Si ha addirittura la sensazione che alcuni dei recenti regolamenti di conti possano sfuggire alle logiche mafiose, le scavalchino. Ammazzare qualcuno vuol dire attirare le forze dell’ordine. Circostanza che non conviene innanzitutto ai mafiosi che governano le piazze dello spaccio.
Allo Zen come a due passi dal carcere Pagliarelli i protagonisti avevano interessi nel mondo della droga. E qui il sottobosco della criminalità si fa ancora più violento. Zisa, Ballarò, Spero e Falsomiele (rione dove viveva Manzella) sono piazze abitate da squadre di pusher. Dal crack alla cocaina: i consumi a Palermo hanno conosciuto un’impennata. Più elevato è il numero di clienti, più alta è la posta in gioco.
L’omicidio di Manzella è stato programmato – il killer aveva un appuntamento con la vittima – niente a che vedere con gli omicidi di impeto, frutto di una lite o di condizioni di pressioni psicologiche, anche familiari, come è avvenuto in altri episodi raccontati dalle cronache. Manzella era un cane sciolto, spacciava droga ad una sua rete di clienti. Qualcuno ha deciso che doveva morire.
Pubblicato il
19 Marzo 2019, 06:04