14 Dicembre 2014, 06:22
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E se Veronica Panarello – la nota madre di Santa Croce Camerina, accusata di avere strangolato Loris, il figlio di otto anni – fosse innocente? Contro di lei, secondo la Procura, sussistono indizi gravi e concordanti, mentre la difesa è convinta di potere sostenere con successo la sua estraneità al crimine. Il Gip, nel decidere il carcere per Veronica, la descrive con termini terribili: “Cinica condotta, evidente volontà di volere infliggere alla vittima sofferenza, azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso d’umana pietà”.
Sono parole pesanti come un macigno e vanno ascoltate con la massima considerazione, rammentando sempre che i conti definitivi li salderà l’ultima sentenza. Da qui la fastidiosa domanda che ogni persona dovrebbe porsi, a salvaguardia del diritto, soprattutto nei confronti del presunto mostro di turno: e se fosse innocente? (è già capitato, fra l’altro, che “prove schiaccianti” non abbiano retto in un dibattimento). I processi penali si celebrano appunto per decidere chi, tra accusa e difesa, abbia ragione. Un concetto difficile da assimilare per la comunità a contorno della tragedia, desiderosa di rapida impiccagione.
Non spira aria di garantismo né di cautela. Chi ha seguito la storia ha accumulato, giorno per giorno, uno smisurato patrimonio di frammenti e un formidabile collante emotivo. In base a questo miscuglio sono stati costruiti un ‘senso’, una spiegazione, una sentenza anticipata. A mettere insieme i pezzi della vicenda è stata soprattutto l’overdose dei sentimenti che li ha resi non più frammenti di un’indagine, nel momento in cui li ha distillati in fotogrammi di uno sceneggiato scritto a più mani. La condanna già stampata, secondo le suggestioni in corso, rappresenta l’esito di un ibrido tra caotica narrazione di superficie e psicologia profonda.
Ha vinto la necessità di tramutare il dolore in ira, perché la seconda è un peso più leggero da sopportare. Ha avuto la meglio l’urgenza di fornire un’identità, svincolata da pur minimi dubbi, al volto dell’assassino. Gli elementi disponibili sono stati considerati, mediaticamente, una indicazione assoluta, più che una forte probabilità, per rendere ravvisabile la fisionomia di un capro espiatorio che scagionasse l’intera tribù. Quando si verifica il massacro della purezza, nel corpo e nello strazio di un bambino – l’atto che non conosce perdono – ogni comunità vorrebbe scrollarsi di dosso il peso di un macigno che avverte come un’indefinita vibrazione di vergogna, come la responsabilità condivisa di chi ha a che fare con l’orrore, per omissione o per involontario concorso (non ti ho saputo proteggere, non ero con te, sono parte di un mondo che è violenza nei confronti dei più deboli e non posso ritenermi assolto).
E’ accaduto nella nostra tribù globale, così contemporanea nei suoi mezzi e primitiva nei suoi istinti: abbiamo scelto di crocifiggere Veronica, prima di ogni ratifica, per un’esigenza di purificazione.
La narrazione di superficie e i turbamenti profondi tratteggiano l’aspetto psicologico della questione. Nella cadenza delle cronache, scorrendo particolari e carte investigative, viene il più che legittimo sospetto che la mamma di Santa Croce di Camerina sia l’autrice dell’atto che non conosce perdono. Eppure, nonostante carte e cronache, una platea più razionale avrebbe covato dentro il sospetto come un lutto, rimandando il resto al compiersi del percorso giudiziario. Non si sarebbe esibita nella lapidazione feroce e compiaciuta, nell’ebbrezza delle recenti settimane. Sarebbe stata tormentata dalla domanda iniziale: e se fosse innocente?
Se Veronica Panarello risulterà colpevole, con il timbro di una sentenza senza appello, meriterà la punizione più dura che c’è, a norma di codice, per avere sterminato il respiro e la purezza nel corpo di suo figlio. Altrimenti, nessuno potrà mai risarcirla dalla pena che avrà già scontato, per niente. Se uscisse il numerino dell’innocenza sulla ruota della giustizia, nessuno saprebbe consolare questa ragazza che non ha mai incontrato, nella solitudine dei suoi passi, uno spiraglio di luce, una speranza di guarigione.
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14 Dicembre 2014, 06:22