02 Ottobre 2010, 22:53
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di DANIELA VACCARO (da fb)
Cara Santità ( o caro Santità?),
La città – volente o nolente – è in fibrillazione per la sua visita. Ieri ho visto una piazza Bologni surreale, sgombra di macchine. Hanno rifatto l’asfalto in corso Vittorio Emanuele, smentendo la I legge non scritta dell’asfalto: Ogni riparazione al manto stradale verrà fatta in modo tale da far rimpiangere il buco che c’era prima, perché il rabbercio è pure peggio. Insomma, per farla breve, l’asfalto è liscio, perfetto. L’AMIA deve aver trovato improvvisamente i soldi per far circolare i suoi mezzi, dal momento che le strade dove lei passerà sono pulite. Verrebbe quasi da gridare al miracolo. Verrebbe, Santità, ma non si può. Perché basta grattare e si vede che, come al solito, anche questo è un rabbercio, anche se fatto molto bene. Una presa per i fondelli, mi perdoni il linguaggio, che la città tutta si prepara a mettere in scena a suo uso e consumo. La città si sta mettendo la dentiera, la parrucca e uno spesso strato di fondotinta, ma non si lasci ingannare, la città non ha denti, né capelli ed è pallida come tutti i moribondi.
Io abito a pochi passi da quel corso Vittorio Emanuele che hanno tirato a lucido per lei, Santità, con enorme disagio di tutti quelli che lavorano e vivono nei dintorni. Perché per non pagare un centesimo di straordinario agli operai, deve sapere, l’asfalto è stato rifatto in pieno giorno, con le conseguenze sul traffico che può immaginare. Ma non perdiamoci in chiacchere. Le stavo dicendo: abito a pochi passi dalla Cattedrale, che vado a guardare ogni volta che anche io mi voglio prendere in giro, mi voglio consolare.
La strada dove abito io non ha l’asfalto levigato: è un attentato continuo alle sospensioni e ai calli. I cassonetti strabordano, tutto è sporco. Non c’è nessuna zona rimozione, perché lei non passerà da qui. E qui sta secondo me il problema.
Mi si potrà obiettare che la città verrà da lei, che ragioni di sicurezza non consentono che lei vada lì dove la città mostra il suo vero volto. Sono ragioni che non mi convincono, Santità. Se per una volta, qui come altrove, lei provasse a dire ai suoi collaboratori che lei vuole fare una visita diversa, non glielo consentirebbero? Pensi se lei avesse detto ai suoi collaboratori e all’amministrazione di Palermo: vorrei visitare il quartiere dello ZEN, di cui avrà certamente sentito parlare. E’ quello in cui distruggono le scuole, Santità. Quello in cui, se malauguratamente uno va a trovare un parente che vive fuori Palermo, quando torna trova un’altra famiglia installata a casa sua. Un quartiere dove non ci sono servizi, spazi di aggregazione, dove neanche noi palermitani andiamo mai, se non siamo costretti. Manco le forze dell’ordine ci vanno, Santità. Se lei avesse chiesto di visitare lo Zen oppure un altro quartiere popolare di Palermo (gliene elenco qualcuno in ordine sparso: Ballarò, Vucciria, Noce, Capo, Cep, Brancaccio – si ricorda? quello di Padre Puglisi), magari tutti quei soldi spesi per mettere la dentiera a corso Vittorio, sarebbero stati spesi per fare una protesi ad uno di questi posti che noi diciamo dimenticati da Dio.
Non conosco il calendario dei suoi impegni. E’ possibile che lei sia stato invitato a visitare alla chetichella un centro,un asilo, una scuola. Non escludo che lei abbia un interesse genuino per questa città. Ma vede, ci sarebbe bisogno di clamore, di strepito, di scruscio, come diciamo noi qui. Lo stesso che fece il suo predecessore quando ad Agrigento condannò apertamente la mafia.
Le sarà arrivata l’eco delle proteste che ha sollevato la spesa che la città ha dovuto affrontare per la sua visita. Vede, non è che sia una cosa contro di lei. No, non è questo. E’ che ha un sapore amaro per noi vedere l’amministrazione comunale più insulsa, inutile, inetta che lei possa immaginare spendere un mare di soldi per lei e non fare nulla per una città disperata, con un tasso di disoccupazione giovanile e non difficile persino da quantificare, con sacche di povertà e degrado che sono sempre meno sacche e sempre più voragini.
Vede, Santità, io in una di queste sacche ci vivo, e in un’altra ci lavoro. Da privilegiata, diciamo, da insegnante con uno stipendio fisso. Non sto qui a dilungarmi sul peggioramento del mio tenore di vita rispetto a quello dei miei genitori, sul perché io abbia potuto acquistare una casa con un mutuo che finirò di pagare da vecchia solo in un quartiere popolare. Le sto parlando, invece, di quello che vedo tutti i giorni. Una povertà che è innanzitutto povertà spirituale, povertà di progetti, di futuro, di speranza. Io li guardo tutti i giorni negli occhi, i ragazzi di questi quartieri, e quanto più sono scafazzati, come diciamo noi – cioè maleducati, ignoranti, violenti – tanto più hanno quel vuoto negli occhi: vuoto di vita, vuoto di futuro.
Lei che si preoccupa tanto del basso tasso di natalità che c’è in Italia dovrebbe vedere come vivono queste famiglie che rialzano la media, come ci sia un’irresponsabilità diffusa nel fare figli che poi crescono per strada senza niente. Lei si preoccupa molto dei bambini che non nascono. Provi a sapere come stanno quelli che hanno avuto la disgrazia di essere nati. Vengono a scuola con l’ultimo ritrovato di telefono cellulare ipertecnologico (spesso di dubbia provenienza), ma nessuno si è preoccupato di farli lavare, di dargli un libro, di notare che hanno passato la giornata e la nottata precedente davanti alla Play Station.
Non è per tutti così, grazie a Dio. Perché ci sono famiglie diverse, persone che – anche in questi buchi di disperazione – hanno la forza di prospettare un futuro diverso ai propri figli. Ma sono troppi, troppi quelli che sono venuti al mondo per un istinto naturale a cui non è seguito neanche per un attimo l’intervento della coscienza. Scusi il paradosso, ma molti di questi bambini sono il frutto di un bisogno fisiologico, sì, ha capito bene, e basta. Non sono amati se non in modo generico e sbagliato, sono solo il naturale complemento di una vita che prevede nascita, espletamento di bisogni fisiologici – mangiare, dormire, andare di corpo, riprodursi – senza nient’altro.
E’ questo il vero volto di Palermo, Santità, quello che estende la sua ombra anche su chi ha studiato, su chi dovrebbe avere gli strumenti per cambiare il volto di questa città, e che è ugualmente senza speranza. Perché vede, anche io come tanti ignoravo cosa fosse questo mondo, perché non lo conoscevo, e lo liquidavo con una battuta, uno sfottò (perché nei quartieri alti si sfottono, i tasci, come li chiamiamo noi). Ora che li conosco meglio e ho imparato ad ascoltarli, ho capito che loro sono la nostra coscienza sporca, il capro espiatorio su cui rigettare tutti i nostri peccati.
Siamo noi che li abbiamo spinti dove sono adesso, per poter continuare a dire che questa città non ha speranza e assolverci dalle nostre responsabilità. Siamo noi – con la loro complicità, per carità – che continuiamo a tenerli ignoranti, perché è più comodo, perché ci consente di sentirci superiori. Siamo noi, Santità, mi spiace dirlo. E in questo noi lei – come rappresentante della Chiesa – è in prima fila. Mentre scrivo questa nota, un elicottero sorvola la zona. C’è calma, stamattina. Sicuramente i soliti traffici illegali che si svolgono giornalmente, a pochi passi dalla Questura, oggi avranno una battuta di arresto. Troppi occhi che guardano.
Lei andrà via, Santità, e tutto tornerà come prima. Ci vorranno solo poche ore, il tempo di togliere le trasenne e la dentiera.
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02 Ottobre 2010, 22:53