01 Febbraio 2019, 18:51
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PALERMO – “Una persona buona, vera, che si accostava agli eventi della vita con rispetto e umiltà, ma che poi dava perle di saggezza quando diceva le cose”. Così Maurizio Artale ricorda Gaetano Puglisi, scomparso oggi a Castelvetrano all’età di 87 anni. Il fratello di don Pino ha lasciato tanti ricordi nella mente del presidente del Centro Padre Nostro, fondato dal prete vittima di mafia.
“Lui ha sempre parlato di tutta la sua famiglia ma mai del fratello Nicolò, ‘Nicolino’, morto a 15 anni – confessa Artale -. Mentre Nicolò era in ospedale, si erano messi d’accordo per fargli avere il cibo attraverso un paniere: una suora se ne accorse e tagliò la corda con cui se lo passavano. Poi ancora lo beccò a non rispettare gli orari di visita, e non lo fece entrare più… Ecco, lui di questo rideva a crepapelle! Era una persona che sapeva che c’erano delle regole, e che quando ti sono ‘avverse’ non bisogna farne un dramma”.
Anche in Terra Santa, quando fu invitato dalla Fondazione ‘Giovanni Paolo II’ insieme ad Artale e al fratello Franco, Gaetano Puglisi dimostrò la sua essenza: “Sapeva che era un mondo che lui non conosceva – dice Artale – e osservava le persone con un’aria perplessa. Ma appena gli venivano spiegati le tradizioni, le usanze e i perché di certi abiti, lui rispondeva: ‘Ah, c’è un senso… Purtroppo chista è ‘a ‘gnuranza’, io non lo sapevo”.
Gaetano Puglisi non perdeva mai la pazienza. “Don Pino ha sempre avuto macchine di seconda mano – racconta ancora Artale – e un giorno una delle tante ebbe un problema. Gaetano, fratello e meccanico, lo aiutò: Pino e un amico anche lui prete avevano bisogno di un mezzo per andare a Campobello di Mazara, e Gaetano gli prestò la moto. In serata vide un camion tornare all’officina, con due figure familiari nel cassone… Erano Pino e l’amico. ‘Gaetano, noi non ci siamo abituati, l’abito talare si è bloccato tra i raggi e siamo finiti fuori strada… Per fortuna ci ha soccorsi questo camionista’. Gaetano scoppiò a ridere, e con lui tutti gli altri, senza riuscire a fermarsi. E che importava della moto…”.
Maurizio Artale ricorda Gaetano Puglisi come un uomo a cui piaceva stare al proprio posto, con dolcezza e umiltà. “Una figura carismatica e sempre rispettosa del fatto che noi, volontari sconosciuti, avessimo portato avanti il lavoro del fratello Giuseppe – lo descrive il presidente del Padre Nostro -. Persino quando i Puglisi vennero invitati una volta dal Papa e un’altra dal presidente Mattarella, e in entrambe le occasioni avevano un permesso riservato solo a loro, lui e Franco vollero a tutti i costi che sia il Papa sia il presidente incontrassero anche me. E dire che io dovevo solo accompagnarli”.
La storia si è ripetuta a Brancaccio, in occasione della visita di Francesco alla casa di don Puglisi, il 15 settembre 2018: “Non appena ricevuto il saluto – spiega Artale – Gaetano subito ha fatto in modo di farmi avvicinare al Papa per farmi ‘riconoscere’ il lavoro fatto per il centro. Per vent’anni lui, come Franco, non ha nemmeno mai chiesto di essere riconosciuto dallo Stato come vittima di mafia. Dovetti insistere io, perché a loro sembrava sbagliato che si potesse credere che volessero far soldi sulla morte del fratello”.
“Quello che Gaetano non ha mai accettato era la morte del fratello Pino. Mi diceva: ‘Mio fratello era un prete… Anche Falcone, Borsellino e gli altri facevano del bene, ma mio fratello era un prete’”. Per Artale, le parole di Gaetano Puglisi andavano oltre il concetto di fratellanza: “C’era quella sacralità legata non alla parentela, ma al rispetto delle figure chiave: il prete, il padre… Ma parlando dei Puglisi come fratelli e familiari, non c’è stata mai una volta, mai, in cui io a casa loro non sentissi parlare di Pino. E poi Gaetano piangeva, sempre”. Un evento, quello del 15 settembre 1993, che Gaetano sentiva: “Mi chiamava e mi diceva ‘se lì al centro si mette male, lascia tutte cose e vattene. Già ho perso un fratello, non voglio perderne un altro’”.
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01 Febbraio 2019, 18:51