Vi racconto mio fratello disabile | E altre storie di coraggio e viltà

di

22 Febbraio 2017, 09:44

3 min di lettura

Di mio fratello disabile ricordo gli occhi, quando il cofano di una macchina impediva il passaggio della sua carrozzina. Non era fastidio, ma uno sguardo che enumerava le spine conficcate nella carne di una dignità calpestata. Era allora che prendeva perfettamente coscienza della sua alienata e inalienabile diversità, perché il mondo si frapponeva come un ostacolo, come una maledizione, sulla sua strada.

Di mio fratello disabile ricordo le scarpe inermi. E centinaia di scarpe appoggiate al muro nel reparto per neurolesi di un ospedale a Milano. Quelle calzature erano ali deposte, in attesa degli angeli che sarebbero tornati a prenderle. Erano la voluttà di spostare un piede, di muovere un passo, un altro passo ancora, per l’ultima volta. Ma tutti coloro che avevano abbandonato le scarpe sulla parete sapevano che si trattava di una resa definitiva. Che avevano abdicato eternamente al movimento. Nessun angelo avrebbe ripreso le sue ali bianche, screziate di terra.

Mio fratello non era nato disabile. Aveva corso, come tanti. Lo era diventato. Come certi preti che abbracciano l’abito talare dopo avere conosciuto la vertigine della carne, delle labbra, delle mani. In lui, l’ostia del dolore era calata alla fine del sacramento della gioia, per un evento inaspettato. Una dissonanza che produceva ribellione, ma anche una rarissima e consapevole dolcezza di sé.

Di mio fratello disabile ricordo una flessibile rassegnazione. Ricordo la tenerezza con cui accoglieva la violenza perbene degli altri. E gli altri erano davvero violentissime persone perbene. Uomini gentili che sbuffavano quando dovevano spostare l’auto da un posteggio riservato, come se l’immobilità componesse un privilegio di casta, a Palermo, nella capitale del ‘ciaffico’. Donne che avevano imparato a memoria le poesie di Sandro Penna (“Ecco il fanciullo acquatico e felice”), che si intenerivano per il gattino sull’albero, per il canuzzo orfano, ma poi si mostravano infastidite nel dovere cedere spazio, in fila alla cassa del supermercato, all’incedere metallico di un ragazzo in carrozzina.

Pure lui aveva imparato a memoria la lezione. Il disabile è un recluso, un ostaggio su un pianeta ostile. Non sono le sue rotelle a inchiodarlo, è la chiusura di ciò che c’è intorno a sputarlo fuori come un nocciolo di pesca. I promemoria della sofferenza e della fragilità umana sono indigesti compagni di viaggio. Solo l’amore riesce a superarli, soprattutto per esperienza diretta.

Articoli Correlati

E’ successo quello che è successo. La vicenda di due fratelli privi di assistenza è rimbalzata in tv per diventare indignazione. Un assessore si è dimesso. Pif ha occupato Palazzo d’Orleans, rinfacciando al presidente Crocetta tutte le sue omissioni. E Saro – come sempre capita – è stato il solito campione di viltà politica. Ha scaricato le colpe su altri. Ha detto, in sostanza, che non se n’era accorto che in Sicilia ci sono i disabili. Mischino, però.

LiveSicilia non vuole più perdere il suo tempo con un presidente politicamente impresentabile, da oggi contiamo con maggiore mestizia i giorni che ci separano dalle elezioni, perché, con un governatore simile, ci siamo vergognati abbastanza di essere siciliani.

Ma desideriamo che tutti sappiano che le persone con disabilità esistono, senza alibi, senza sconti. Per questo, cominceremo a raccontare le storie di chi soffre e spera: l’amore e la consapevolezza sono importanti, ma non bastano, se parliamo di diritti negati. E non ci fermeremo, anche quando una giusta rabbia sarà rientrata nel cono d’ombra, lontano dalle telecamere.

Di mio fratello disabile ricordo che lo chiamavo per nome ed era facile considerarlo un essere umano, non un problema. Ecco. E se cominciassimo a chiamarli tutti per nome?

Pubblicato il

22 Febbraio 2017, 09:44

Condividi sui social