02 Febbraio 2010, 17:24
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Bernardo Provenzano, “regista” dell’arresto di Totò Riina, era garantito da un accordo di impunità per aver riportato Cosa nostra in uno strato sommerso. C’era un’intesa. Vito Ciancimino, l’intermediario, è stato “scaricato”, “sostituito da qualcun altro che agiva al posto suo e col suo piano”. Sopra tutti un “grande architetto” che spingeva Cosa nostra ad andare avanti con le stragi. Il racconto di Massimo Ciancimino, nel secondo giorno di deposizione al processo Mori, svela le trame della presunta trattativa fra la mafia dei “corleonesi” e pezzi delle istituzioni, indicando anche chi, al posto di Don Vito, sarebbe diventato l’interfaccia politica di Cosa nostra: il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, già al giudizio d’appello per concorso esterno.
Secondo round. La testimonianza di Massimo Ciancimino riprende dal punto in cui s’è interrotta. “Mi sento in colpa anch’io per quello che è successo” avrebbe detto Don Vito il 19 luglio 1992, il giorno della strage di via D’Amelio. “Rimarcava di sentirsi responsabile per aver dato un’accelerazione” perché “il tentativo di aprire questo dialogo con Riina da parte delle istituzioni ha innescato un valore aggiunto a quella che era l’azione stragista di Cosa nostra”. E quindi “dopo via D’Amelio cambia tutto”. Se la prima fase della trattativa aveva visto l’offerta di benefici per le famiglie dei latitanti che dovevano consegnarsi, “si passa alla volontà di voler catturare Salvatore Riina e non Provenzano, in quanto gli stessi (gli ufficiali del Ros, ndr) sanno che l’interlocutore di mio padre era Provenzano”. Dopo l’esose richieste del papello, “si torna all’impianto iniziale, ‘Provenzano assumiti le tue responsabilità, fa sì che possa dare informazioni alle istituzioni’”. Massimo Ciancimino racconta come “bisognava convincere un personaggio che non aveva nell’indole, nella sua natura, il tradimento. Ci furono diversi colloqui per quello che mio padre definiva ‘presa di coscienza’ per definire la cattura di Riina”. Così Vito Ciancimino avrebbe chiesto agli ufficiali del Ros, Giuseppe De Donno e Mario Mori, carte topografiche di Palermo e le utenze collegate agli indirizzi. Queste carte Massimo Ciancimino le avrebbe portate a Provenzano, che avrebbe segnato il covo di Riina e sottolineato le sue utenze nei tabulati. Quando Ciancimino jr, però, porta le carte a Roma suo padre è in carcere e gli dice di consegnarle al capitano De Donno.
Era tramontata la stella di Vito Ciancimino. Aveva chiesto un passaporto per incontrare Provenzano in Germania e la richiesta aveva insospettito l’allora questore di Palermo che ha chiesto e ottenuto la custodia cautelare in carcere. Secondo Massimo Ciancimino il padre aveva fatto presente questa cosa agli ufficiali dei carabinieri con cui dialogava, “mio padre la definì una trappola per farlo arrestare una volta raggiunto il loro scopo… avevo consegnato la documentazione per la cattura di Riina”. Che fu arrestato, il 13 gennaio 1993, con “l’onore delle armi… il rispetto verso la sua famiglia, che doveva essere messa in condizione di allontanarsi e raggiungere il paese, levare tutta quella che era la documentazione conservata da Riina”. Di questo accordo “mio padre ne aveva parlato con Lo Verde (Bernardo Provenzano, ndr) e la proposta era stata recapita e accettata, poi l’aveva comunicata sia al signor Franco (uomo dei servizi) che ai carabinieri” dice Ciancimino jr. Nei colloqui con questi, non solo ci si accordava sulla consegna di Riina, “si stava mettendo in piedi un programma”. Era il 1992, c’erano state da poco le elezioni e avanzano nuovi soggetti politici come la Rete e la Lega. Il partito che aveva guidato il paese negli ultimi 40 era sparito, “si era dato vita a quella che era la sua idea – dice Massimo riferendosi al padre – di non disperdere questo patrimonio elettorale di cui la Sicilia rappresentava il più grosso bacino”.
Era Marcello Dell’Utri, secondo quanto riporta Massimo Ciancimino, quel “qualcuno stava continuando a gestire il suo programma”. Il riscontro sarebbe in alcuni “pizzini” che Massimo Ciancimino custodiva in cassaforti mai controllate nonostante le perquisizioni a cui è stato sottoposto. Quegli stessi documenti che, nel maggio 2006, Ciancimino jr va a nascondere all’estero, “quando vengo avvisato da un signore, visto in compagnia del signor Franco, che di lì a poco sarei stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare. Mi disse che non era il caso che custodissi con me questa documentazione… se potevo disfarmene”. Carte che Massimo Ciancimino ha consegnato alla procura e che sono finite fra gli atti del processo. In un pizzino risalente al 2000, che sarebbe attribuibile a Provenzano, si legge “…ho riferito i suoi pensieri al nostro amico sen. E ho spiegato che loro non possono fare questi provvedimenti con l’amnistia quando governano loro”. “Mio padre ebbe a dire che (Provenzano, ndr) aveva riferito all’amico Dell’Utri circa lo stato di salute di mio padre e alla richiesta di un provvedimento di clemenza” dice Ciancimino jr aggiungendo che: “aveva fatto una battuta… perché Dell’Utri era deputato, ‘forse l’abitudine di scrivere sempre senatore…’, perché c’è un altro senatore più conosciuto…’”. Ma c’era un contatto diretto fra Provenzano e Dell’Utri che lei sappia, chiede il pm Antonio Ingroia che si è alternato con Nino Di Matteo nelle domande. “Si” è stata la risposta secca di Massimo Ciancimino che spiega come “l’amnistia era un’idea fissa di mio padre che aveva fatto presente a Lo Verde (Provenzano) e al signor Franco, che atti di clemenza dovessero essere presi da governi di sinistra. Quelli di destra avevano troppi scheletri negli armadi e bisognava sfruttare la situazione perché al governo c’era la sinistra”. In un altro pizzino si legge. “…mi è stato detto dal nostro sen e del nuovo pres… la nuova soluzione per la sua sofferenza…”. “Il nuovo pres. è Salvatore Cuffaro – spiega Ciancimino jr – significa che sia il presidente Cuffaro, in quota Udc, che gli amici spingeranno per il provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati”.
L’uomo del mistero. Nella galleria dei personaggi ombra introdotti da Massimo Ciancimino – oltre l’ormai famoso signor Franco (o Carlo), persona che apparterebbe ai servizi – entra una nuova figura: il “grande architetto”. “… al momento tutti facciamo uno sforzo come già c’eravamo parlati all’ultimo incontro, il nostro amico è molto pressato…”. E’ un altro pizzino che Massimo Ciancimino avrebbe raccolto da familiari di Pino Lipari per conto di Provenzano. Era la risposta a un precedente pizzino di Don Vito, subito dopo la consegna del papello. Ma chi è l’ “amico pressato” e da chi è influenzato? “L’amico è Riina – risponde Massimo Ciancimino – molto pressato… fa riferimento a quel personaggio, il ‘grande architetto’ che lo stava istruendo e lo stava istradando verso questo percorso, gli aveva riempiendo la testa…. ‘Grande architetto’ perché stava imbastendo il progetto di mettere su una serie di iniziative che poi di fatto hanno determinato quello che aveva determinato… pressava Riina per andare avanti con le stragi”. Ma sul nome Ciancimino jr si blocca, dice di non sapere nulla. L’impressione dalla platea è stata tutt’altra.
I legali di Dell’Utri: “Vuole salvare il tesoro”
“Massimo Ciancimino prova a fare ciò che non è riuscito a fare suo padre: cioé accreditarsi presso la Procura di Palermo, vendendo un prodotto che non ha, per potere preservare in modo concreto il patrimonio, sicuramente ingente, che detiene all’estero”. Così l’avvocato Giuseppe Di Peri, legale del senatore Marcello Dell’Utri ha replicato alle dichiarazioni fatte, al processo Mori, da Massimo Ciancimino.
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