18 Luglio 2013, 20:00
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PALERMO– “Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Una frase secca e concisa pronunciata oltre vent’anni fa da Paolo Borsellino e che oggi, a poche ore dalla commemorazione della strage di via D’Amelio, torna per bocca della sorella Rita. Tanti i buchi neri, le incomprensioni. Ventuno anni dopo l’esplosione in cui persero la vita il magistrato e gli agenti della sua scorta, la sete di verità è rimasta inappagata.
“Le mia testa è piena di domande da troppo tempo. Da quando cominciò la campagna contro i pentiti e quasi si annullò uno strumento che era così importante, da quando le fughe di notizie iniziarono a serpeggiare in maniera sempre più violenta danneggiando inchieste delicatissime – sono queste le prime parole di Rita Borsellino -. Mi preme comprendere il punto di vista del giornalista perchè io naturalmente ho una visione diversa, quella del cittadino comune che qualche volta apprezza, accoglie il lavoro importantissimo dei giornali ma qualche altra volta resta sconcertato davanti a delle situazioni che non si comprendono”.
E così, per una volta, in un gioco delle parti provocatorio è stata proprio l’europarlamentare a porre le fatidiche domande alla stampa. Quella stessa stampa che ha vissuto in prima persona il periodo nero delle stragi. All’interno della cornice di Villa Niscemi Rita Borsellino ha ripercorso i momenti cruciali dell’operato del fratello Paolo e chiesto delucidazioni sugli innumerevoli punti oscuri ancora presenti nell’indagine sulla ‘trattativa’. Ad accompagnarla i giornalisti Giuseppe Lo Bianco, Anna Petrozzi e Teresa Di Fresco.
Ad emergere nel corso della curiosa intervista è soprattutto il passo indietro che, a detta dei giornalisti presenti, è stato compiuto a partire dal ’96. “E’ come se improvvisamente su questo Paese fosse caduta una cortina di silenzio sulla mafia. Rileggendo tutte le dichiarazioni dei politici dal ’96 in poi ci si rende conto di come serpeggiasse l’idea che la mafia fosse stata sconfitta per sempre – ha spiegato Giuseppe Lo Bianco, de Il Fatto Quotidiano -. Fino a quando nel 2006 le telecamere di Anna La Rosa ci portarono dentro un casolare nascosto, apparentemente abbandonato. Era il covo di Provenzano. E allora viene da pensare che ci sia stata una grande mediazione illusionistica senza alcuna coerenza logica”.
Dello stesso avviso anche Anna Petrozzi: “Il nostro Paese vive di segreti, è imprigionato in un ricatto che è diventato sistema. Sulle stragi invece di fare un passo avanti ne è stato fatto uno indietro. Ci vuole coraggio ma il fatto che continuiamo a chiamare la trattativa ‘presunta’ è sintomo evidente di come la paura abiti i corpi e le menti dei cittadini – ha sentenziato la caporedattrice di AntimafiaDuemila -. Siamo paralizzati di fronte ad una verità che abbiamo davanti agli occhi e che preferiamo mettere sotto il tappeto. Il Paese del domani sarà senza futuro senza la verità e la responsabilità è nostra”.
Parole accorate, infine, quelle di Teresa Di Fresco, vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia secondo la quale bisogna uscire dalla corazza di “indifferenza e omertà” costruita nel corso degli anni: “Dobbiamo far sì che i giovani crescano con la coscienza del male che esiste ma che può essere combattuto e sconfitto – ha concluso Di Fresco -. La mafia è una grande famiglia che vive nell’ombra e quindi più difficilmente attaccabile. I giovani hanno il dovere di credere in un futuro libero dalla criminalità. I mezzi ci sono. Usiamoli”.
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18 Luglio 2013, 20:00