03 Gennaio 2015, 19:50
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CATANIA – Allineamento dei filmati e qualità delle immagini, bugie e verità, testimoni che parlano e poi cambiano idea e orario della morte e protocolli per l’autopsia. Sono alcuni dei temi al centro dell’udienza ‘fiume’, durata circa 18 ore e snodatasi in due giorni, davanti al Tribunale del riesame di Catania che ha rigettato la richiesta di scarcerazione di Veronica Panarello, la 26enne accusata di avere ucciso il figlio Loris, di 8 anni. Un confronto-scontro duro e lungo, quello tra Procura di Ragusa, in aula con il procuratore Carmelo Petralia e il sostituto Marco Rota, e difesa, rappresentata dall’avvocato Francesco Villardita.
LA SCUOLA, L’AUTO E LE BUGIE – Il 29 novembre “ho accompagnato mio figlio a scuola”, ha sempre detto Veronica Panarello. Ma per l’accusa le immagini dimostrerebbero che Loris scende da casa, ma non entra in auto, anzi rientra nel palazzo. “Solo ombre non compatibili con il fisico del bambino”, per il legale. “E’ Loris che torna a casa” per l’accusa, che cita anche il padre del piccolo, Davide Stival, che dopo avere visto le immagini ritiene di avere riconosciuto il figlio. Lei parte e va verso la ludoteca ad accompagnare il bimbo più piccolo cambiando il percorso abituale. Per la difesa “le immagini non sono chiare”, i “tempi di allineamento discutibili” e quindi “non rilevanti”. Anzi “in alcuni filmati scompare”. Per la Procura è la “prova provata che sta mentendo” per “proteggere se stessa”. L’identico scontro è sulle immagini dell’auto che per due volte si dirige verso il Mulino Vecchio, dove è stato trovato il corpo. “Solo ombre indefinite” per la difesa, la “prova logica per deduzione che è la Polo di Veronica” per l’accusa.
PRELIMINARE AUTOPSIA, ORA DELLA MORTE E FASCETTE – “Gravi criticità” segnala l’avvocato Villardita nel “preliminare dell’autopsia e nell’ora della morte”. “Il medico legale – sostiene la difesa – non ha utilizzato neppure il termometro rettale per misurare la temperatura del corpo”. C’era il “sospetto iniziale di una violenza sessuale” replica l’accusa e il “protocollo cambia in questo caso”. La difesa porta in aula la ‘lettura’ degli atti di un docente universitario che sposta l’orario del decesso, fissato tra le 9 e le 10, ad alcune ore dopo “quando Veronica Panarello ha un alibi di ferro”. Ma la Procura contesta passo passo anche questa tesi: “l’ipostasi è rilevata e descritta nonostante la scarsa luce”. E la perizia è certificata anche da un ‘big’ della medicina legale della polizia scientifica di Roma definendo con “certezza – affermano i Pm in aula – che la morte è sopravvenuta per asfissia meccanica da strangolamento”. Eseguito con fascette di plastica compatibili con quelle che la donna consegna due giorni dopo alle due maestre di Loris che la vanno a trovare a casa. Per la difesa è “la prova dell’innocenza di Veronica che non aveva alcun motivo per consegnarle”. Per l’accusa “era un modo per farle uscire di casa”.
I TESTIMONI – Ricostruzioni raccolte da investigatori e viste “con un microscopio normale, osservate con quello elettronico dalla difesa”. Così l’avvocato Villardita contesta “l’analisi non approfondita di alcune testimonianze dalle quali emergono incongruità rispetto alla tesi dell’accusa”. Tra queste quelle di una donna che subito dopo la scomparsa disse di avere visto Loris e di averci parlato, intorno alle 9.30, vicino a una fontana del paese. Ma risentita dagli investigatori successivamente avrebbe precisato di non essere certa del giorno. Come ha fatto l’agente di polizia municipale, una donna, che aveva detto di avere visto Loris dirigersi a scuola. Per la Procura “sono testimonianze già valutate con attenzione e approfondite”, come quelle di “altre persone che hanno poi avuto difficoltà a collocare temporalmente i loro ricordi”. Neppure loro erano certo che fosse quel ‘sabato maledetto’. (ANSA)
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03 Gennaio 2015, 19:50