Villa Cattolica a Bagheria | La bellezza riscoperta FOTO

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25 Dicembre 2016, 10:53

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26 dicembre 2016: nel giorno del 105° anniversario della nascita del pittore Renato Guttuso (1911-1987), dopo un anno e mezzo di chiusura per ristrutturazione, ha riaperto al pubblico il complesso monumentale della settecentesca Villa Cattolica a Bagheria che ospita il museo a lui dedicato (leggi l’articolo qui). Il giardino retrostante la villa, situata sulla SS113 litoranea, all’ingresso nord di Bagheria, conserva le spoglie di Guttuso all’interno di un’arca monumentale, realizzata dallo scultore e amico Giacomo Manzù con marmi azzurri dal Brasile. La posizione dell’arca non è casuale, rispetta uno degli ultimi desideri del pittore: riposare in un luogo che guardi al mare, che si affacci sullo splendido scenario del golfo di Palermo e sull’azzurro del Mediterraneo.

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Uguale emozione spinse Francesco Bonanno del Bosco, principe di Roccafiorita e di Cattolica, Grande di Spagna e più volte pretore di Palermo, ad ampliare la sua residenza estiva nella prima metà del Settecento, in quel luogo dal quale poteva dominare il territorio di Bagheria, e le dimore di altri aristocratici che avevano scelto la stessa piana per la villeggiatura. Personalità complessa, Francesco Bonanno ebbe notevoli qualità diplomatiche e riuscì a destreggiarsi tra i diversi avvicendamenti politici dell’isola, all’epoca contesa tra i governi spagnolo e austriaco. Villa Cattolica si affaccia sull’antica via Consolare, che da Palermo porta a Messina, oggi assediata da una caotica urbanizzazione a cui si aggiunge anche una fabbrica di cemento in disuso. Non conosciamo il nome dell’architetto che disegnò la Villa, severa nello stile neoclassico e barocca nel movimento della facciata, ma è noto che verso la fine del 1720 gli architetti Giuseppe Musso e Giuseppe Diamante lavorarono per il Bonanno. Nel riquadro, posto sul prospetto principale, è scritto il nome del capo muratore che la completò: Giuseppe Pirrello, vassallo del Principe di Cattolica. La peculiarità dell’edificio è di avere 365 aperture, come i giorni dell’anno e la “fossa della neve”, un ambiente sotterraneo coibentato dove un tempo venivano conservate le derrate alimentari deperibili. La temperatura interna nel sottosuolo si manteneva inferiore di circa 7 gradi rispetto a quella esterna grazie alla neve della vicina catena montuosa delle Madonie, che veniva raccolta d’inverno e conservata in un piccolo pozzo interno. Qui sotto nel 2004, in occasione della sua personale, l’artista Croce Taravella ha installato una scultura permanente, il Grande Guerriero, di nove metri per tre, disteso su tronchi di legno, come un combattente che resiste fiero all’assalto del tempo.

Quando la famiglia Bonanno si estingue, a partire dal 1850, la Villa perde la destinazione originaria e viene utilizzata per gli scopi diversi: prima come caserma delle truppe borboniche durante lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, poi come lazzaretto e, verso la fine del XIX secolo, passa nelle mani della famiglia Scaduto, bagherese, che la usa sia come abitazione che come stabilimento a vapore per la produzione di conserve alimentari.

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Nel 1973, grazie allo straordinario impulso dato dalla prima donazione di cento opere di Renato Guttuso, la Civica Amministrazione affitta parte del piano nobile della Villa, inaugurandovi il Museo Civico. A partire dal 1984, contestualmente alla procedura di acquisizione dell’intero complesso monumentale, si realizza un progetto di riordino del percorso espositivo che, attraverso donazioni (un secondo lascito di opere e documenti disposto da Guttuso e, successivamente del suo erede, Fabio Carapezza), presenta il vasto panorama culturale dell’Italia del secondo Novecento, incentrata sulla figura del celebre pittore bagherese e sul suo ambiente culturale. Infatti, una delle sale più interessanti è quella con i ritratti che Guttuso faceva ai suoi amici artisti, come Carlo Levi, che a loro volta lo ritraevano. Tra le sue opere più importanti in collezione, Gioacchino Guttuso Agrimensore (1966), omaggio al padre ritratto sul prato con il teodolite, strumento utilizzato per misurare le distanze e gli angoli, opera che fa parte del grande ciclo dell’Autobiografia. La raccolta presenta anche l’ultima opera, incompiuta per la morte dell’artista: una tela di grandi dimensioni, dal titolo Nella stanza le donne vanno e vengono, in riferimento ad un distico di T.S. Eliot, “nella stanza le donne vanno e vengono/ parlando di Michelangelo”. Le otto presenze femminili, sono raffigurate da Guttuso con abiti dai colori accesi e tacchi alti, colte in atteggiamenti diversi: chi si pettina, chi parla al telefono, alcune si abbracciano ed è riconoscibile la sua musa, Marta Marzotto. Il grande quadro è ispirato dall’idea dell’eterno femminino e si respira un’atmosfera ambigua, la sensazione di possibili accadimenti infausti, dietro un’apparente tranquillità.

Il Museo riapre con una nuova pavimentazione esterna, un impianto di illuminazione e climatizzazione aggiornato, un ascensore e delle postazioni touch screen che raccontano la storia della collezione permanente che comprende circa 1.500 opere riallestite da Dora Favatella Lo Cascio. Tra gli artisti di cui si conservano i lavori, molti dei quali donati sempre da Guttuso: i bagheresi Domenico Quattrociocchi e Ottavio Tomaselli, il futurista Pippo Rizzo, Lia Pasqualino Noto, Carlo Levi, Alberto Ziveri, Augusto Perez, Antonietta Raphael Mafai, Corrado Cagli, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Angelo Savelli, Salvatore Scarpitta, Edouard Pignon, Sergio Vacchi, Armando De Stefano, e alcuni esponenti di rilievo della Pop Art romana come Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa. Tale percorso si è arricchito, nel corso del 2004, dell’apertura di una sezione dedicata al manifesto cinematografico che va dal 1928 al 1983, grazie alla donazione dei Fratelli Lo Medico che fino alla metà degli anni Ottanta hanno gestito le storiche sale cinematografiche locali come il cinema Littorio, inaugurato nel 1927, l’arena Imperia e il Nazionale. Sono parte della raccolta poster di grande impatto che un tempo erano realizzati da famosi artisti, come, ad esempio, La Wally (1931) di Guido Brignone, primo film sonoro proiettato a Bagheria, Roma (1972) di Federico Fellini, oltre a quelli per Riso Amaro (1949) e Kaos (1984), entrambi ideati proprio da Guttuso. Un’altra sezione della collezione è dedicata ai maestri siciliani della fotografia, tra i quali altri due celebri artisti bagheresi: Ferdinando Scianna e Giuseppe Tornatore. Una sezione etnografica è destinata alla storia del carretto siciliano e, in particolare alla famiglia Ducato di Bagheria, definiti da Guttuso “artigiani di pregio”, protagonisti del documentario, il carretto, opera giovanile di Tornatore. Utilizzati fino al 1939 perché a Bagheria non c’erano strade asfaltate, i carretti decorati con le gesta dei Paladini di Francia e dei Santi, accompagnano il periodo del boom economico della produzione di agrumi, fino al secondo dopoguerra, quando furono sostituiti dai più pratici mezzi di trasporto a motore. Il museo è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 9 alle 17 (info: www.museoguttuso.com; ingresso: 5 euro).

 

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25 Dicembre 2016, 10:53

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