Vincenti, la casa e il figlio | "Qua fesso non c'è nessuno" - Live Sicilia

Vincenti, la casa e il figlio | “Qua fesso non c’è nessuno”

Un capitolo dell'inchiesta riguarda la sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale di Palermo

PALERMO – Non solo Palermo calcio. C’è un capitolo dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta che riguarda il lavoro di alcuni magistrati in servizio a Palermo. Si parla di pressioni e atti illegittimi nelle stanze del Palazzo di giustizia.

La vicenda riguarda l’acquisto di una casa nell’ambito di una procedura della sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale. Il telefono di Cesare Vincenti, presidente della sezione Gip, in pensione da alcuni giorni, e quello del figlio Andrea erano intercettati dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria. Dalle loro conversazioni emergerebbe l’operato del figlio “teso ad istigare” il padre “a fare valere la propria posizione istituzionale per conseguire vantaggi personali”.

Andrea voleva che il genitore facesse pesare il proprio ruolo: “… dovresti chiamare tu… convocare Bellia in Tribunale uscire un poco di attributi e fare un discorso… fargli capire che qua… fessi non c’è nessuno”.

Ed è un atteggiamento spregiudicato quello che anche Giuseppe Sidoti, il magistrato che si occupò della proceduta fallimentare del Palermo e pure lui indagato in un’altra inchiesta, cuce addosso al collega Vincenti nel corso di un’intercettazione: “…. è un modo indiretto per chiedere, cioè non può essere un’informazione, ha il figlio avvocato che si occupa di queste cose, non può non essere un’informazione”.

C’è il sospetto che Cesare Vincenti “era solito interloquire” con i colleghi “per influenzarne le determinazioni”. La procedura in corso era quella per la vendita forzosa di un appartamento in via Nortabartolo di proprietà di Giuseppe Umberto Bellia, legale rappresentante dell’Istituto medico di Diagnostica Clinica (che nulla ha a che fare con l’avvocato Giovanni Bellia del foro di Palermo). Era Bellia il debitore. A comprare la casa fu un altra figlia di Vincenti, “che non risulta avere redditi tali da giustificare l’esborso di soldi”, accollandosi i debiti di Bellia che ammontavano a 248 mila euro.

La procedura prevedeva la vendita all’asta. Asta a cui avrebbero potuto partecipare anche altre persone. È così che Andrea Vincenti averebbe indotto il custode giudiziario dell’immobile a presentare un’istanza di estinzione della procedura. Successivamente avrebbe chiesto al padre “di intervenire sulla collega Alida Marinuzzi (indagata per abuso d’ufficio) affinché l’istanza fosse immediatamente esitata”.

“Risolta quella cosa?”, chiedeva Andrea Vincenti al padre che rispondeva: “… ma penso di sì perché è tutto a posto, poi la collega mi ha detto provvederò in mattinata, quindi”. Lo stesso Vincenti senior inviava un sms alla collega: “Ti ringrazio per la sollecitudine. Buone vacanze. Cesare Vincenti”. Bloccato il rischio della vendita all’asta, i Vincenti perfezionarono l’acquisto. “Restano nebulose – annotano i magistrati – le modalità con cui entrarono in contatto con Bellia”. Il procuratore Amedeo Bertone, l’aggiunto Gabriele Paci e i sostituti Claudia Pasciuti e Davide Spina hanno chiesto ai finanzieri guidati dal colonnello Cosmo Virgilio, di perquisire studio e abitazione degli indagati e di sequestrare computer e telefonini.

Andrea Vincenti respinge le accuse e risponde punto per punto alle contestazioni in un’intervista che pubblicheremo nelle prossime ore.


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