La mafia delle case popolari| Condanne e assoluzioni allo Zen

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13 Giugno 2016, 17:15

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PALERMO – C’era la mafia dietro i soprusi dello Zen. La sentenza d’appello ribalta quella di primo grado. Sono otto le persone condannate al processo per i soprusi commessi allo Zen. In Tribunale erano cadute le ipotesi di associazione mafiosa e l’aggravante prevista per chi dà un contributo a Cosa nostra che adesso fanno scattare due pesanti condanne assieme alle ipotesi di violenza privata, violazione di domicilio e occupazione abusiva di alcuni immobili dello Zen.

I condannati per mafia sono Letterio Maranzano (7 anni e 4 mesi, in continuazione con una precedente pena) e Salvatore Vitale (8 anni, anche questa in continuazione). Il primo era stato assolto dal Tribunale, mentre al secondo la pena è stata raddoppiata. Sconto di pena di un anno ciascuno per Angela Spina (3 anni e 4 mesi), Antonino Spina (3 anni e 4 mesi), Francesco Firenze (2 anni e 8 mesi), Francesco Nappa (2 anni), Giuseppe Nappa (1 anni). Anche per loro in primo grado caduti diversi capi di imputazione.

Confermate le assoluzioni per Antonino Pirrotta, Giuseppe Covello, Giovanni Di Girolamo, Michele Moceo, Rosario Sgarlata, Giovanni Ferrara, Franco e Domenico Mazzè, Erano difesi, tra gli altri, dagli avvocati Claudio Gallina Montana, Angelo Formuso, Tommaso De Lisi, Antonio Turrisi, Stefano Cultrera; Marco, Giulia e Valentina Clementi, Raffaele Bonsignore e Maurilio Panci. Furono questi ultimi, per primi, con le indagini difensive a fare venire a galla la “falsità delle dichiarazioni dei pentiti” e a ottenere la scarcerazione degli indagati.

“I casi popolari su nuostre (le case popolari sono nostre)”, mise a verbale Salvatore Giordano.In primo grado si disse che era emersa una storia di miseria e sopraffazione piuttosto che di mafia. La storia di gente costretta a pagare per continuare a ricevere luce e acqua o per evitare che la propria casa venisse “ceduta” ad altri. Una sorta di controllo parallelo e illegale della vita tra i padiglioni dello Zen che, però, nulla avrebbe avuto a che vedere con la mafia. Le condanne di oggi ribaltano la ricostruzione e danno ragione all’accusa. Nell‘inchiesta sfociata negli arresti del febbraio 2013 emerse ciò che sarebbe stato confermato nei successivi blitz: il clan mafioso detterebbe legge nel quartiere periferico della città e controllerebbe lo spaccio di droga e il mercato delle estorsioni.

 

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13 Giugno 2016, 17:15

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