Il prof e la mano sul sedere| Scagionato da Fb e dalla zumba

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09 Marzo 2017, 05:45

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PALERMO – Un grande malinteso. O forse, per usare le parole dell’avvocato difensore, “se certa ortodossia cattolica ben pensante non condivide tecniche di insegnamento diverse, ciò non vuol dire che siano un reato”.

È andate bene al professore di un istituto d’arte palermitano che ha rischiato di finire sotto processo per la pesantissima accusa di violenza sessuale. Ed invece il giudice per l’udienza preliminare Vittorio Alcamo ha emesso una sentenza di non luogo a procedere, accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato Andrea Dell’Aira (l’altro difensore è Marco Musicò) che ha citato brani del fortunato film “L’attimo fuggente” per sostenere che cioè che diverso non per forza, anzi è il contrario, deve essere criminale.

I fattacci erano datati febbraio e marzo 2013 quando il docente cinquantenne avrebbe compiuto violenza sessuale, così recitava il capo d’imputazione, “appoggiando una mano sulla coscia e una sul sedere con movimento insidiosamente rapido”.

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Il primo caso sarebbe avvenuto durante un’interrogazione in classe. Il secondo, mentre gli studenti si trasferivano da un’aula all’altra. Protagoniste due ragazze diciassettenni che si confidarono con i genitori, che ne parlarono con il preside. Doveroso, a quel punto, fu informare la magistratura.

Rileggendo le relazioni di servizio e le audizioni delle due presunte vittime il legale si è accorto di alcune incongruenze. Innanzitutto non si parlava di mano sulla coscia e sul sedere, ma di ginocchio e schiena. Il professore ha riferito che nel primo episodio si era limitato ad attirare la troppo distratta studentessa con dei banali colpetti sul ginocchio. Della serie “ascoltami, guarda me”. Nel secondo caso il prof aveva detto alla ragazza di seguirlo in presidenza. “Forza, dai, andiamo”, assecondando il movimento con la mano sulla schiena e non sul fondoschiena della giovane. Le due presunte vittime descrivevano “quel modo di fare del docente”, stigmatizzato da un consulente della Procura.

“Le ragazze hanno subito un trauma”, scrisse il perito. Nella cronaca giudiziaria dei tempi moderni anche Facebook, però, gioca un ruolo decisivo. Nei giorni delle presunte attenzioni morbose le ragazze erano tutto fuorché traumatizzate visto che nei post dei social network erano gasatissime e felicissime per l’ultima diavoleria scoperta in palestra. Un mix fra aerobica e danza latino americana. La chiamano zumba.

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09 Marzo 2017, 05:45

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