09 Luglio 2023, 05:01
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CATANIA. Un viaggio a ritroso. Tra memoria, suoni ed emozioni. Abbiamo raggiunto il cantautore Umberto Maria Giardini per farci raccontare il suo “affascinante” ed ormai quarantennale viaggio nella musica, da batterista della scena indie di Fermo a ricercato ed apprezzato cantautore, da Moltheni ad UMG, passando per Catania, Francesco Virlinzi, la Cyclope Records, Carmen Consoli e Franco Battiato.
Catania ed il tuo percorso artistico ed umano si incroceranno più volte nella tua carriera, spesso in modo determinante. Qual’è stata la tua prima impressione su questa città e che ricordo porti nel cuore oggi?
Porto un ricordo assolutamente straordinario. Tuttavia è pur vero che erano anni in cui Catania risplendeva di qualcosa di nuovo e potente. Francesco Virlinzi ne era uno degli artefici, qualcosa di indimenticabile che oggi non esiste più. La città fu per me una scoperta abbastanza difficile da spiegare; sensazioni, profumi, immagini, e poi le persone, come un mondo diverso dal mio. Stupefacente.
Il tuo esordio musicale è come batterista nel 1983, anno che segnerà l’inizio di quelle che poi sarebbero diventate molte collaborazioni con band del circuito indipendente della tua provincia, Fermo. Quali urgenze, riflessioni, scelte o casualità ti porteranno poi a diventare autore e cantante dei tuoi testi?
Per prima cosa decisi di darci un taglio con la batteria e con i miei collaboratori dell’epoca. Avevo a che fare con ragazzi miei coetanei che materializzavano poco le aspirazioni artistiche che apparentemente condividevamo. Alcuni di loro pensavano troppo allo studio, altri erano purtroppo vincolati dal mondo del lavoro post scuole superiori. Decisi di tirarmi fuori da quella situazione neutra e assolutamente inconsistente sotto ogni profilo, anche stilistico. Iniziai a suonare e canticchiare molti anni dopo quando vivevo a Milano, luogo con altri stimoli e con persone differenti.
Nel 1989, con la formazione “Hameldome”, vi qualificate alle finali di Arezzo Wave dove riceverete il premio come “Migliore band emergente”. Tu però lascerai la band nello stesso anno ed inizierai a viaggiare per il nord Europa, soprattuto in Scozia. Ci racconti perché?
La motivazione del mio abbandono l’ho accennato sopra, la Scozia fu una meta più o meno casuale, dettata per l’amore del paese ma anche da alcune circostanze che mi capitarono durante i mondiali di calcio in Italia del 90. Ero a Genova per lavoro e andando alle partite nella città in cui mi trovavo c’era la Scozia. Lì conobbi Gavin, colui che rimarrà per sempre come un fratello per me. Poco dopo lo raggiunsi a Dundee.
In Scozia farai i conti con realtà musicali come i Proclaimers, Gavin McDermott ed i Curve. Cosa aggiungerà questo nuovo bagaglio umano ed artistico al tuo modo di fare e concepire musica?
Aggiungeranno poco in realtà, poichè stilisticamente seguivo altri generi musicali. Fatto sta che la musica del luogo dove si vive, influenza inevitabilmente chi la vive. La Scozia era piena zeppa di musicisti in gamba, e il loro giro nonostante il paese sia piccolo era enorme ed efficace.
Il 1996 sarà l’anno in cui entrerai in studio a Bologna per incidere i tuoi primi brani come Moltheni (pseudonimo che, come i più informati già sanno, trae spunto dal nome di una farmacia milanese di via Sardegna, sita proprio difronte alla tua sede di lavoro di allora), che meriteranno le attenzioni di Carmen Consoli e del suo produttore di allora Francesco Virlinzi, della storica “Cyclope Records” di Catania, permettendoti di aprire dei concerti della Cantantessa e firmare il tuo primo (e di fatto purtroppo ultimo) contratto discografico proprio per la “Cyclope Records” per la realizzazione di due album con distribuzione BMG. Quali sono le immagini e le emozioni che ti sono rimaste di questi incroci di destini?
In quegli anni eravamo ancora umani, le cose accadevano perchè non essendoci ancora l’influenza e la decapitazione morale della rete, l’attività umana primeggiava. Le persone si cercavano e le cose come per magia si materializzavano con una naturalezza, a ripensarci oggi, imbarazzante. Erano gli anni 90a.
Nel 1999 il tuo debutto discografico, “Natura in replay”, con brani preziosi come “In centro all’orgoglio” e “Il circuito affascinante”, ti permetterà di aprire i concerti di band come “Negrita”, “Verdena” e “Afterhours”, per poi essere selezionato per il noto e prestigioso “Brand New Tour” di MTV. Hai avuto la sensazione che la tua vita stesse cambiando in quel frangente? O hai vissuto quell’esperienza come il naturale dispiegarsi degli eventi e del tuo percorso artistico?
Non credo che la mia vita stesse cambiando, quella percezione non l’ho mai avuta, nemmeno quando salì sul palco dell’Ariston per Sanremo 2000. Gli eventi si susseguivano rapidamente e quello che importava era suonare. la ricerca disperata e frustrante del denaro che c’è oggi, ancora non esisteva. Quando le cose e gli eventi accadevano se ne prendeva coscienza e si viveva il momento, a volte con consapevolezza (giovanile) a volte con disincanto e spregiudicatezza un po’ idiota. Aprire i live degli Afterhours non era un gran affare, ne divertente come se lo potrebbe immaginare un giovane oggi.
Nel 2000 il tuo brano “Nutriente” ti aprirà le porte del teatro Ariston di Sanremo, preludio del tuo primo tour veramente “importante”. Com’è stato confrontarsi con un circuito mainstream come quello del “Festival della Canzone Italiana” portando con sé un’anima ed un baglio indie non indifferente come i tuoi?
Ho davvero vaghi ricordi. Ricordo solo che tutto era finto e pressochè inutile. Grosse somme di denaro spese per nulla, giornalisti del tutto incompetenti ovunque e una sorta di atmosfera che mi disgustava. Oggi credo sia cambiato moltissimo, ma certi aspetti popolari al negativo li ha mantenuti. Stavo bene ma volevo finisse in fretta.
Nel 2001 pubblichi l’album “Fiducia nel nulla migliore”, registrato a Kernersville, assieme al produttore esecutivo Jefferson Holt (ex manager dei R.E.M) ed al produttore artistico Chris Stamey (DB’s). Il disco sarà però “orfano” a causa della prematura scomparsa di Francesco Virlinzi e la successiva ed inevitabile chiusura dell’etichetta “Cyclope Records”. Nel 2002, durante una conferenza stampa ad Arezzo Wave, confesserai la tua difficoltà nel mantenere un buon rapporto con i discografici di Roma, per una oggettiva impossibilità di comunicazione e di differente visione totale sull’impostazione del lavoro programmatico. Cos’aveva di diverso Francesco invece rispetto ai discografici romani e come riuscì a convincerti, quando vi siete conosciuti, a mettere in atto questa strana inversione di tendenza che da Milano ti portò a compiere il viaggio “inverso” per incidere con un’etichetta catanese?
Francesco Virlinzi era la Cyclope records ovvero un privato competente in materia che si inventò il ruolo di produttore a capo di un etichetta indipendente, la Cyclope. Tutto ciò che produceva e che decideva di produrre, proveniva dal suo personale fiuto, aiutato da una considerevole esperienza acquisita sotto ai palchi internazionali di ogni genere. La BMG invece era l’esatto contrario. Un multinazionale dove non esisteva una sola entità competente, quindi totalmente incapace di valutare, sviluppare, migliorare, fare un percorso positivamente appropriato e produttivo con qualsiasi artista. Tutti coloro (artisti) che lavoravano con le major in quegli anni, potevano solo aspirare alle loro forze e alla forza della loro musica, la major raccoglieva e basta per poi salire sul carro dei vincitori quando qualcosa accadeva. Oggi è esattamente la stessa identica cosa, se pur con competenze leggermente migliorate.
Tra il 2002 ed il 2003, anno di uscita della pellicola, partecipi alla alla colonna sonora del film “Perdutoamor” di Franco Battiato, dove interpreti uno dei primi successi di Lucio Battisti, “Prigioniero del mondo”, e ti metti in gioco anche come attore, indossando i panni del giovane cantautore “Szabo Balaban”. Sarà proprio l’intervento provvidenziale del Maestro Battiato a farti ottenere dalla BMG, dopo essere rimasto ormai orfano della “Cyclope records” di Francesco Virlinzi, la sofferta liberatoria del tuo album. Che ricordo hai di Franco? Quali sono le prime immagini che ti tornano in mente sentendo oggi il suo nome?
Franco fu una persona straordinaria, senza il suo intervento che mi consentì di ottenere la liberatoria dalla BMG, non starei qui a raccontare la mia vita artistica. Ho un ricordo dolcissimo di lui, specie nella parte più divertente del suo carattere. Amava raccontare barzellette e ci piegavamo in due quando lo faceva perchè entrava con una naturalezza incredibile in un ruolo di recitazione assolutamente inedito quanto efficace. Nel lavoro era estremamente pignolo, sapeva quel che voleva, sempre.
Verso la fine dell’estate del 2010 il sito web dell’artista “Moltheni” viene ufficialmente dichiarato “definitivamente chiuso”, per poi rivederti apparire sulla scena come “Umberto Maria Giardini”. Cos’è accaduto esattamente in quei giorni? Quali cambiamenti o riflessioni ci sono stati alla base di questa scelta? Perché hai deciso di “uccidere” “Moltheni”?
Il progetto Moltheni fu chiuso quando iniziai all’apice della mia carriera a fiutare gli interessi economici che incominciavano a girarmi satellitari attorno. Come avvoltoi alcuni miei stretti collaboratori cambiarono atteggiamento verso di me. Un incontro a dir poco deludente con Caterina Caselli della Sugar poi, fu la goccia che fece traboccare il vaso, depresso e consapevole che la musica in Italia passa sempre per la radiografia della prospettiva guadagno, tralasciando il senso del bello, decisi di abbandonare il progetto. A distanza di anni e senza Francesco Virlinzi sono convinto che feci la scelta giusta. Tutto nasce, tutto si trasforma e poi muore.
Il 5 ottobre del 2012 pubblichi per La Tempesta Dischi/Woodworm, distribuzione Venus, l’album dal titolo “La dieta dell’imperatrice”. Questa volta però a firmarlo è “Umberto Maria Giardini”. Chi è esattamente UMG ed in cosa si differenzia da Moltheni?
Umberto Maria Giardini nasce dalle ceneri di Moltheni ma l’approccio artistico è abbastanza diverso. Nel tempo mi sono più concentrato all’aspetto tecnico della produzione del lavoro, sia nelle fasi della composizione che in quelle della registrazione e dei mix. Anche le modalità riferite all’attività live è totalmente cambiata, grazie all’esperienza accumulata negli anni, è decisamente migliorata. Moltheni è stata la mia giovinezza, UMG è la mia maturità.
Il 3 febbraio del 2015 esce il secondo album come UMG, “Protestantesima”, sempre per La Tempesta, ma in quest’occasione inserisci un uso maggiore, rispetto al tuo passato, di archi e pianoforte. Da cosa nasce questa scelta? Stavi cambiando tu, la tua musica, le tue esigenze o niente di tutto ciò?
Non lo ricordo, è passato troppo tempo. Presumo fosse un esigenza sonora del momento, che come ho sempre fatto ho cavalcato, parallelamente al mio destino.
Nel 2017 invece esce “Futuro Proximo”, titolo mutuato da una scritta letta su un muro, sempre come UMG, sempre per la Tempesta e sempre il 3 di febbraio. E’ una scelta o una casualità questo giorno che si ripete? Come immaginava Umberto Maria giardini che sarebbe stato il suo “futuro proximo” nel 2017?
E’ una casualità, nulla più. Non immaginavo che il mio futuro potesse cambiare, e non lo presuppongo nemmeno ora. Credo che ognuno di noi debba seguire il proprio destino e cavalcare l’onda degli eventi. Non ho mai fatto nulla di mirato, il disinteresse verso ciò che mi circonda è abbastanza conclamato, chi mi conosce e mi vuole bene lo sa.
Solo due anni dopo, nel 2019, arriva “Forma mentis”, uscito sempre a febbraio, ma questa volta il 22, per Ala Bianca/La Tempesta. E’ corretto dire che ti andava di condividere tutto di te con il tuo pubblico, compresi i tuoi “panni sporchi” citati probabilmente non a caso nel titolo di uno dei 12 brani all’interno?
Forma Mentis è stato un album importantissimo per me. Non solo perchè mi ha donato la consapevolezza che, io sono una persona libera e fortemente incorruttibile, ma perchè mi ha circondato di persone stupende che hanno contribuito positivamente nel vivere anni di totale fallimento artistico. Credo che nella vita tutto serva, tutto è utile anche nella sua violenza. Forma Mentis è stato un album violento ma benevolo.
Nel 2020 invece ci raggiunge una voce dal passato, grazie all’album “Senza eredità”, La Tempesta/Master Music. Moltheni probabilmente aveva voglia di metterci difronte allo specchio per ricordarci in fondo chi siamo. Pensi che sia tornato per questo?
Nel 2020 Moltheni non è tornato. Senza eredità è un concept album ricavato da tutte le cosidette b-sides mai pubblicate che dovevano per forza di cose chiudere un cerchio. Grazie all’aiuto di alcune persone meravigliose, alcuni fans e della mia etichetta, abbiamo pensato di regalare un ultimo soffio di leggerezza con un disco molto bello e dolcissimo, pregno di malinconia e di vita, un po’ come era Moltheni.
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