20 Febbraio 2014, 06:15
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PALERMO – Un interrogatorio in gran segreto, anticipato da una lettera. Vito Roberto Palazzolo ha scritto alla Procura di Palermo per chiedere di essere ascoltato. E il pubblico ministero Gaetano Paci ieri è andato nel carcere di Milano Opera per incontrarlo.
La natura riservata del colloquio – non era presente neppure il legale del finanziere – potrebbe volere significare che l’uomo ritenuto il tesoriere dei padrini corleonesi vuole davvero svelare i segreti di Cosa nostra. Impossibile sapere, al momento, cosa si siano detti il pubblico ministero e Palazzolo e cosa c’era scritto nella lettera spedita in Procura. Probabilmente nella missiva, che conteneva la richiesta di parlare con un magistrato, si faceva riferimento alla durezza del 41 bis. Potrebbe essere il regime del carcere duro la vera chiave per aprire la cassaforte dei segreti di Palazzolo. Nei giorni scorsi al Palazzo di giustizia di Palermo si era fatta viva la moglie del detenuto per ribadire l’innocenza del marito e la sua voglia di essere interrogato.
Si riapre, dunque, il dialogo fra Palazzolo e i magistrati interrotto sul nascere dopo alcune iniziali ammissioni? Il 19 dicembre il finanziere di Terrasini è stato estradato in Italia dalla Thailandia dove lo avevano arrestato nel marzo 2012. Deve scontare nove anni per associazione mafiosa. Ci sono voluti trent’anni prima di riportarlo in Italia. Di lui e dei suoi affari si era occupato Giovanni Falcone.
Qualche mese dopo l’arresto, i segnali di apertura. Palazzolo aveva annunciato di volere affrontare dieci temi. Una limitazione inaccettabile per l’autorità giudiziaria italiana, come inaccettabile era la sua richiesta di revisione del processo. E così il suo percorso di collaborazione, reale o presento, si era fermato prima ancora di iniziare. I primi giorni di febbraio sul capo di Vito Roberto Palazzolo si è abbattuto il peso del 41 bis. Il carcere duro è insopportabile per la stragrande maggioranza dei boss. Persino uno come Totò Riina ha mostrato segni di insofferenza.
Pochi giorni dopo l’inizio delle restrizioni carcerarie, la moglie si è fatta viva in Procura. Poi, il marito ha scritto ai magistrati. Ieri l’incontro riservato. Sono lontani, lontanissimi i giorni in cui il finanziere di Terrasini se ne stava nella sua lussuosa villa di Città del Capo, protetto da una rete di amicizie importanti. Lontano dalla Sicilia, in particolare in Sudafrica, ha fatto soldi a palate. Una dimestichezza con il denaro che gli è servita per guadagnarsi sul campo i gradi di riciclatore dei soldi dei mafiosi. Di Riina e Provenzano come hanno dimostrato le indagini coordinate dal pubblico ministero Gaetano Paci. Palazzolo, affiliato al clan di Partinico, si è sempre messo a disposizione dei boss siciliani. Alcuni li avrebbe pure ospitati mentre erano latitanti.
La condanna che gli è stata inflitta riguarda episodi successivi al 29 marzo 1992. Per l’epoca precedente, infatti, è stato assolto dal reato di mafia, non da quello di avere fatto parte di un’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Erano gli anni della Pizza Connection, quando la mafia siciliana acquistava tonnellate di morfina in Turchia, la raffinava in Sicilia e poi riempiva il mercato americano di eroina, spacciata attraverso una fitta rete di pizzerie e ristoranti gestiti da siciliani espatriati. Gli incassi, milioni e milioni di bigliettoni verdi, venivano riciclati in Svizzera grazie alla preziosa collaborazione di Palazzolo. Nel paese elvetico Palazzolo fu arrestato nel 1984 su ordine della magistratura siciliana. Per evitare l’estradizione confessò di avere commesso un reato in Svizzera. E lì è rimasto fino alla fuga. Approfittando di un permesso natalizio di trentasei ore, il 24 dicembre 1986, salì su un volo per il Sudafrica. Il passaporto svizzero esibito alla frontiera ed intestato a Stelio Domenico Frappoli, suo compagno di cella, non destò sospetti e gli consentì di mettersi in tasca un permesso turistico valido fino al 21 gennaio 1987. Quando la notizia venne a galla Palazzolo decise di darsi una nuova identità. Gli bastò trasferirsi nella Repubblica indipendente del Ciskei (una piccola enclave riconosciuta solo dal Sud Africa e oggi riassorbita nel territorio di quest’ultimo) e pagare per diventare il signor Robert Von Palace Kolbatschenko. Da qui in Namibia dove, grazie al matrimonio, si cucì addosso i vestiti della apparente rispettabilità. A quel punto anche per il Sudafrica smetteva di essere un ospite indesiderato. Nel 2012 carabinieri e poliziotti lo bloccarono a Bangkok. Cosa setsse facendo in Thailandia è uno dei tanti misteri ancora da chiarire.
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20 Febbraio 2014, 06:15