05 Aprile 2012, 16:33
3 min di lettura
La sua testimonianza è stata piena di tentennamenti. Tanto che il giudice gli ha contestato di volere “eludere le domande”. Alla fine Davide Di Vita ha confermato la ricostruzione dell’accusa: “Ingrassia ci chiese 50 mila euro. Ci disse che questa somma doveva servire per i politici e che se non pagavamo non avremmo avuto altre commesse. Aggiunse che si era fatto garante del pagamento di questi soldi”.
Di Vita era socio di Giovanni Correro, l’imprenditore che ha denunciato l’ingegnere Piergiorgio Ingrassia e il deputato regionale del Pd, Gaspare Vitrano, per concussione. Vitrano è stato sorpreso mentre intascava dieci mila euro. Gli investigatori non hanno dubbi: era una mazzetta per i lavori in sub-appalto, ottenuti da Correro in due cantieri fotovoltaici a Roccamena e Francofonte.
Chi erano i politici di riferimento? “Non lo so”, ha detto Di Vita in aula. “E non si informò?”, lo ha incalzato il presidente. Risposta: “No, perché ero convinto che la storia dei politici fosse una scusa”. Eppure il testimone, sulla base della ricostruzione del pubblico ministero Maurizio Agnello, partecipò nel 2010 ad un incontro a Siracusa con Ingrassia e Mario Bonomo, l’altro deputato coinvolto nell’inchiesta sulll’affaire del fotovoltaico. Secondo l’accusa, basata anche sulla collaborazione di Ingrassia, si trattò di un incontro in cui il politico avrebbe sollecitato il pagamento della tangente. “Ci siamo incontrati a Ortigia, in piazza – ha riferito Di Vita -, Ingrassia mi presentò un uomo. Disse solo che era una persona importante. Ma non sapevo che era Bonomo”.
Nel processo è imputato il solo Vitrano, mentre Ingrassia ha patteggiato una condanna a due anni. Il deputato si è sempre difeso sostenendo che il denaro ricevuto nella busta non era una tangente ma una parte dei proventi di una delle aziende del fotovoltaico di cui era socio di fatto. Di diverso avviso la Procura certa di potere presto dimostrare che quella di Correro non fu l’unica tangente pagati ai politici.
Intanto sotto inchiesta sono finiti pure gli imprenditori Giovanni e Giuseppe Campanotta, indagati per false dichiarazioni al pubblico ministero e favoreggiamento. Il nome dei due costruttori saltò fuori in un’intercettazione. “Guardi glielo spiego così si tranquillizza – diceva Ingrassia a Correro -. Questi lavori privati potevano essere fatti da chiunque, loro (i politici ndr) avevano la possibilità di scegliere chi fare questi lavori, gli hanno dato questa possibilità, alcuni li hanno fatti la Camedil dei signori Campanotta che ci hanno riconosciuto tutto, tutto”. I fratelli Campanotta, sentiti dal pm, hanno però negato di aver mai versato tangenti. Contro di loro ci sarebbero, però, alcuni movimenti di denaro che presto ricostruirà in aula Silvia Como, il dirigente della sezione della Squadra mobile che si occupa di reati della Pubblica amministrazione.
Di Vita ha infine spiegato le ragioni dei contrasti sorti con Correro che portarono prima alla sua sospensione dall’azienda, la Tecnotel srl, e poi alle sue dimissioni. Di Vita aveva aperto una nuova società che finì per entrare in concorrenza con quella in cui era socio con Correro. A detta di Di Vita, però, c’era dell’altro: “Ad un certo punto alla Tecnotel avevamo difficoltà a pagare gli stipendi. Era strano perché l’azienda aveva commesse importanti. Ho verificato alcune fatture. Ce n’era una da 120 mila euro pagata per una ristrutturazione edile dell’azienda”. “Che lavori furono eseguiti?, ha chiesto il presidente: “Una porta e dieci rilevatori di fumo”. Si torna in aula il 26 aprile.
Pubblicato il
05 Aprile 2012, 16:33