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Vuoi insegnare? Paga…

Vuoi insegnare? Non basta essere precari e cercare un lavoro. Devi anche pagare qualcosa, senza certezze. E i sindacati protestano.

Precari e mazziati
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Diventa sempre più difficile per gli aspiranti insegnanti entrare a far parte del mondo del lavoro per perseguire la propria vocazione all’insegnamento o per i giovani laureati che intendono crearsi una nuova opportunità lavorativa, attraverso appunto la strada dell’insegnamento.

A seguito della dismissione dei famigerati Sissis (Scuole Interuniversitarie Siciliane di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario), adesso la formazione degli insegnati passa attraverso i Tfa (Tirocini Formativi Attivi), secondo quanto stabilito dal Decreto Ministeriale dell’11 novembre 2011 che ha attivato i nuovi corsi, gli unici preposti ad abilitare i laureati all’insegnamento nelle scuole pubbliche e quindi permetter loro di partecipare ai concorsi.

Questi Tfa, che sono quindi propedeutici ai concorsi e non garantiscono il passaggio certo al mondo del lavoro, sono stati attivati negli ultimi mesi dalle Università, che sulla base di un tot di posti disponibili, continuano a ricevere richieste numerosissime: si parla, solo a Palermo, di circa tremila richieste per poco meno di 500 posti. Così si è passati a una preselezione, dove gli aspiranti insegnati hanno partecipato pagando una quota di 100 euro ciascuno, a fondo perduto.

I vincitori della selezione entrano invece a far parte del vero e proprio corso di abilitazione e pagano 2 mila 800 euro a testa (al massimo in due rate). La qual cosa non garantisce nessuna certezza di ottenere un lavoro in tempi brevi (e nemmeno medio lunghi) e ci si ritrova a dover pagare quasi 3 mila euro solo per avere un attestato che consenta, a coloro i quali l’abbiano ottenuto, di poter partecipare ai concorsi pubblici per l’insegnamento nelle scuole.

“Si è di fatto aperto un mercato sulla precarietà delle persone – ha detto Giusto Scozzaro, segretario generale regionale della Flc Cgil Sicilia – Gente che sicuramente non ha lavoro e che ha situazioni al limite del sostentamento, che è costretta, non solo a pagare 100 euro a fondo perduto, ma pur passando il corso ne deve pagare altri 2 mila 800 per ottenere l’abilitazione senza avere la certezza di avere un lavoro, ma soltanto per poter prendere parte a un concorso pubblico”.

“Si arriva a pagare quasi tremila euro per un investimento che non può dare nessuna certezza – ha proseguito il sindacalista – un investimento sulla condizione di precarietà abilitata. E con quello che sta succedendo ora nella scuola, è un investimento, per la Sicilia, sicuramente a fondo perduto, data la difficile condizione occupazionale che vige attualmente nell’Isola. Un po’ più garantita lo è per le regioni del Centro Nord, dove ci sono maggiori opportunità”.

Il giudizio del sindacato non può che essere severo. “La nostra idea a riguardo è che in questo modo si mette in atto un sistema che specula sulla condizione di precarietà dei lavoratori e dei disoccupati – ha spiegato Scozzaro – persone che cercano un lavoro e che ancor prima di poter sostenere un concorso sono costretti a pagarsi una selezione di cui probabilmente non ne faranno mai uso, senza dimenticare che coloro i quali passano il corso e ottengono l’abilitazione sicuramente avranno ancora una volta investito sulla professionalità, senza nessuna certezza che quell’abilitazione possa garantir loro un lavoro”.

Secondo Scozzaro, il metodo attuale è assolutamente iniquo. “È un sistema che bisogna rivedere per dare certezza ai lavoratori disoccupati che investono sulla propria professionalità per lavorare”. Tra l’altro, in questo modo, le Università, secondo quanto confermatoci dal sindacalista, ottengono risorse ingenti da chi cerca un lavoro, una situazione quindi paradossale, e a conferma di ciò vi è il fatto che le adesioni ai Tfa sono sempre più numerose.

“Noi siamo portatori di una proposta che cambi il sistema di reclutamento nel nostro Paese – ha concluso il segretario regionale della Flc Cgil Sicila – e che quindi prevede un organico assegnato alle scuole in modo diverso e tenga conto dei dati di contesto e sia al tempo stesso un organico sufficiente, visto che con altre condizioni i posti alla scuola sarebbero di più e i precari avrebbero più opportunità di lavorare”.

 


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