07 Maggio 2017, 17:42
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PALERMO – Finalmente. Non fraintendeteci, la retrocessione in B del Palermo è un fatto di cronaca sportiva senza dubbio doloroso per la quinta città d’Italia. La certezza della matematica giunge in piena primavera e fiacca la forza dalla tormenta di prestazioni inguardabili e sconfitte in serie da cui una squadra tra le più deboli dell’intera storia del club di viale del Fante non è mai riuscita ad affrancarsi. Con tre domeniche di anticipo, l’agonia si tramuta in sentenza. Meglio così, anzi giusto così. Per quello che si è visto in 35 giornate d’infernale, ma sterile, lotta contro un destino già scritto ad agosto. Contro l’aritmetica, perché la logica aveva già emesso il proprio verdetto. Mai una prova limpida, mai un risultato pieno. Nel mese di maggio il popolo rosanero potrà impiegare diversamente il proprio tempo, a meno che non si decida di sancire con la nuova proprietà un patto per l’orgoglio nei confronti dei colori amati e sempre sostenuti. Stadio pieno, quasi a lanciare, anzi a lasciare, un messaggio alla serie A: giusto il tempo di rimetterci addosso panni consoni a un palcoscenico così blasonato, e saremo di ritorno. Un anno, non di più. Forse qualcosa in meno.
Baccaglini, che ha sin qui dosato parole e pensieri, senza lasciare spazio a fraintendimenti, tra i pochi concetti espressi in maniera risoluta ha inserito quello di un’immediata risalita al piano nobile del calcio italiano. Perché il rilancio del Palermo passa, ineludibilmente, dal consolidamento del feeling tra i colori rosanero e il massimo campionato, con tutto quel che ne consegue: in primis, la presentazione dei progetti e l’auspicabile realizzazione di stadio e centro sportivo. Ma per un attimo, e non uno solo di più, il futuro può attendere: è il momento di pensare al presente. È una domenica di liberazione, di sfogo, ma anche di innegabile tristezza. Verrebbe da dire, di tristezza calcolata. Anzi, lo diciamo. Una tristezza inserita nel conto. Con affaristica e malcelata impudenza. Sì, il riferimento è alla gestione di Maurizio Zamparini. Dopo aver messo alla porta gli eroi della miracolosa salvezza della passata stagione (tolto Vazquez per motivi di bilancio, si poteva agire in maniera ben diversa con almeno due tra Sorrentino, Maresca e Gilardino), l’ex presidente ha dato vita a un’operazione kafkiana che lo ha portato a schierarsi contro la sua creatura, contro quello che in sede di trattativa con Baccaglini ha definito fiore all’occhiello delle proprie aziende, quindi contro se stesso.
Dopo averli snocciolati nel corso di un’annata estenuante, giunge dunque il momento di riproporre gli innumerevoli quesiti che l’imprenditore friulano ha sempre rispedito al mittente, utilizzando le armi del non-dialogo e dell’antagonismo verbale. A bocce oramai ferme, in ordine sparso. Presidente, come si può rinunciare all’esperienza nella costruzione di una squadra? Come è possibile non tenere conto del parere dell’allenatore? A cosa serve assumere un direttore sportivo salvo poi ridurne l’ambito d’azione a quello della mera comparsa? Come si può considerare Posavec il più forte portiere della sua gestione? Che senso ha corteggiare e poi crocifiggere Diamanti? Qual è il motivo dell’arrivo di Bortoluzzi? Perché avviare un immotivato braccio di ferro con Corini? In che modo questa squadra avrebbe mai potuto sol pensare di finire tra le prime dieci classificate? Perché cedere Quaison e Hiljemark a gennaio? Come giustifica la scelta di affidarsi a Curkovic? E la pretesa di vedere in campo certi giocatori piuttosto che altri, a prescindere dal risultato conseguito? Perché un mercato al risparmio, anzi, al guadagno? Ballardini è andato via per visionarie fantasie? E i componenti dello staff dirigenziale? Sicuramente dimentichiamo qualcosa, ragion per cui, in summa, la domanda delle domande è: perché svestire i panni del presidente più amato dell’intera storia del Palermo per indossare quelli del proprietario meno desiderato?
Forse nemmeno si rende conto dell’occasione persa. Bontà sua. Aveva ragione Delio Rossi, era il marzo del 2011 e già allora qualche sinistro segnale della piega che stava prendendo la sua gestione cominciava a trovare sfogo, quando nella sala conferenze di un albergo con vista mare ebbe a dire che “i presidenti passano, gli allenatori e i giocatori passano, mentre il Palermo rimane”. Ragionamento lineare, magari scontato, eppure quanto mai veritiero. Anche perché Zamparini – diciamoci la verità – sotto la sua gestione di allenatori e di giocatori ne sono passati parecchi, giusto il tempo di bruciare i primi e valorizzare i secondi per poi congedare tutti con un biglietto di sola andata dall’aeroporto di Punta Raisi. Adesso è il suo turno, perché non ci sono più motivi ragionevoli per continuare questo travaso di bile. Quello di giocatori dal Venezia nel 2002 ci è bastato, quello attuale è decisamente più duro da accettare. Da un travaso all’altro, dalla B alla B: in mezzo pennellate di rosa che adesso rischiano di perdersi tra le nere lacrime color rimmel di una donna tradita. Quella donna è Palermo, orgogliosa da morire ma pur sempre riconoscente. Non se ne abbia a male presidente, la storia saprà restituirle importanza e valore (sulla credibilità non ce la sentiamo di garantire), ma adesso è giunto il momento di prendere quel biglietto di sola andata. E di andare via.
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07 Maggio 2017, 17:42