30 Ottobre 2014, 06:15
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PALERMO – Bisognava sistemare le cose. Il tema era fin troppo delicato. I familiari di “personaggi storici, che hanno fatto grossi crimini” a Bagheria e dintorni erano stati abbandonati. Cosa nostra non aveva più garantito il sostegno economico.
Era il 2011 e i nodi della cattiva gestione della cassa del clan vennero al pettine. Almeno così ha raccontato Antonino Zarcone che per sua stessa ammissione ha avuto un ruolo di vertice tra i boss del popoloso centro in provincia di Palermo. “… noi l’unica cosa che stavamo facendo nell’ultimo periodo, parlo sempre nel 2011, io con Gino Di Salvo e Tonino Messicati Vitale – ha messo a verbale l’aspirante collaboratore di giustizia – siccome volevamo evitare di dare questo sostegno economico ai vari esponenti storici di Cosa Nostra, che fanno parte del nostro mandamento, e di cui tantissimi uomini che hanno fatto parte in Cosa Nostra, hanno avuto una storia su Cosa Nostra – ha proseguito – non reperivano somme di denaro da parte di Cosa Nostra in quanto la famiglia Greco non gli riconosceva nulla, neanche a personaggi storici che hanno avuto una storia sul mandamento di Bagheria”.
Zarcone conosce bene i loro nomi e gli orrori criminali da loro commessi. Solo che, ha dichiarato, “non posso neanche comunicare in questa sede, in quanto ci sono delle indagini in corso, non venivano garantite neanche le famiglie, di cui mi ricordo in particolare che noi avevamo alcuni personaggi storici, che hanno fatto grossi crimini per i vari familiari, che percepivano 1.000 euro l’anno. Significa persone che erano abbandonate”.
Cosa fare? “Sistemare, con Gino avevo parlato, perché tutte le somme andavano direttamente alla famiglia Greco, anche se noi avevamo una gestione interna nostra che riuscivamo anche a gestire…”. A questo punto i pubblici ministeri hanno stoppato il racconto di Zarcone proprio in virtù di quelle indagini ancora in corso. Non si capisce, alla luce dei verbali finora conosciuti, come Zarcone avesse intenzione di risolvere la questione visto che è lui stesso ad affermare che “non volevamo evitare di dare questo sostegno”. Di certo Zarcone non voleva seguire il modello del mandamento palermitano di Porta nuova dove i boss continuavano a sguinzagliare i picciotti del pizzo che puntualmente finivano in carcere. Nuovi arresti e nuove spese da sostenere. Bisognava voltare pagina. E di questo aveva discusso con Gino Di Salvo, indicato come il capomafia di Bagheria, e con Tonino Messicati Vitale, arrestato con l’accusa di essere l’uomo forte a Villabate.
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30 Ottobre 2014, 06:15