Zeus, ucciso da un pitbull

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13 Aprile 2014, 08:11

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“Sai che non mi piacciono i cani. Non hanno il minimo rispetto di sé. Li prendi a calci e loro continuano ad amarti. E’ deprimente”. E’ passato del tempo da quel giorno di febbraio, ma il cinismo impresso come un marchio nelle parole di Khaled Hosseini riporta alla mente la storia di Zeus, una come tante, ma non per questo banale. Il tempo ancora non riesce a lenire il dolore e l’amarezza per il destino di chi non era soltanto un randagio, ma qualcosa di più: uno dei tanti cani senza un passato che improvvisamente entrano nella quotidianità di un quartiere e ne conquistano l’affetto giorno dopo giorno. Non siamo noi a sceglierli, sono loro a scegliere come famiglia persone sensibili disposte ad offrire ciò che possono senza privarli dei beni più preziosi: la libertà e l’indipendenza.

Zeus è stato ucciso a Bonagia, sbranato da un pitbull aizzatogli contro dal padrone, una vicenda che ancora adesso è come una ferita aperta nella coscienza ormai abusata di una città talvolta complice silente dei peggiori istinti. Dinanzi a queste storie di insensibilità e crudeltà il cuore si stringe in una morsa, tratteniamo a stento lacrime di commozione e rabbia nell’immaginare gli ultimi istanti di vita di un cane al quale l’abbraccio di un quartiere e l’impegno dei volontari ha sempre assicurato cibo, assistenza medica, affetto, momenti di gioco, carezze o soltanto una benevola tolleranza. Pochi istanti che racchiudono un dolore senza fine nel ricordo di un cane placido, ignaro del destino atroce che l’attende.

L’agguato premeditato, infame e crudele come sa essere l’uomo; l’attacco a sorpresa, brutale; il battito del cuore improvvisamente accelerato e la paura negli occhi; l’istinto di sopravvivenza prepara Zeus alla lotta, al primo morso, alla presa che non lascia scampo. Un guaito di dolore e di incredulità e poi solo la disperata lotta per la vita, una lotta persa per le ferite profonde ed incurabili inferte all’anima prima ancora che al corpo. Zeus non era pronto a difendersi: era una cane buono, incapace di aspettarsi il male da chi lo aveva adottato perché di male non ha mai vissuto; la sua fiducia verso l’uomo, pura ed incondizionata, si è rivelata fatale. Questa storia è raccapricciante come lo sono tutte quelle in cui l’uomo esprime tutta la propria vigliacca capacità di infliggere dolore a chi non può difendersi.

Non c’è giustificazione né spiegazione nel trasformare il proprio cane in una arma letale per un altro animale, se non la semplice illusione di forza che non riesce, tuttavia, a mascherare una stima di sé evidentemente assai bassa. Questa storia lascia, però, una ferita ancor profonda: la consapevolezza che questa barbarie si è svolta per strada, in un quartiere che da casa accogliente per un cane bisognoso di cure e di affetto, ha saputo trasformarsi in un’arena in cui il sacrificio di Zeus si è svolto tra indifferenza, compiacimento e partecipazione in un diversivo alla quotidianità fatto di sangue, di dolore e di vigliaccheria che l’orrore ed il raccapriccio dei tanti non sono riusciti ad arrestare. Cronache borgatare in cui diviene protagonista la progressiva ed inarrestabile scomparsa della bellezza che, come tenebra, offusca la ragione, annienta i buoni sentimenti e rende insensibilità e crudeltà compagni di giochi sempre più atroci cui affida il compito di sconfiggere la noia.

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Esiste una realtà che comincia ad acquisire contorni inquietanti e con la quale siamo chiamati a fare i conti, senza ipocrisie, senza indulgenza, senza complesse ed articolate considerazioni di politica sociale. Ci sono sentimenti così puri e connaturati all’essere umano la cui rinuncia non può essere giustificata da alcuna forma di disagio economico: la rinuncia ad essi è frutto di una precisa scelta, è espressione di una decadenza culturale e di una barbarie che lentamente si sta radicando nella coscienza collettiva colpevole anche soltanto per la sua indifferenza ed omertà. La bontà, la compassione, la tenerezza, non si insegnano né si imparano, si esprimono solo se si percepiscono nella realtà che ci sta intorno.

Dobbiamo sforzarci di osservare con occhi diversi ogni frammento della bellezza che ci sta intorno, nutrirci di essa affinché diventi parte integrante della nostra persona. Talvolta occorre tornare bambini, guardare il mondo attraverso i loro occhi, con la purezza dei sentimenti che essi ancora affidano alla spontaneità di ogni loro gesto. E’ preoccupante, quindi, immaginare che tra gli spettatori della tragica fine di Zeus vi fossero bambini già incapaci di provare compassione per un animale indifeso che nulla si aspettava se non di essere almeno rispettato. Non resta che trovare consolazione e speranza nell’immagine più familiare dei tanti bambini che dinanzi alla loro prima esperienza con un cane hanno mostrato curiosità, amore, tenerezza, superando l’iniziale diffidenza. Il loro timore lentamente svanisce quando in quegli occhi scorgono una bontà senza fine e comprendono di poter concedere fiducia e tutta la bontà che sono capaci di offrire. La mano che pian piano si avvicina, prima timidamente e poi sempre più decisa verso quel muso che non chiede altro che carezze; il primo indimenticabile contatto con quel manto peloso e la consapevolezza che qualcosa di nuovo è nato: un legame che, una volta stabilitosi, non potrà più essere interrotto.

Forse è troppo semplicistico, magari sbagliato e fuorviante, indicare alcuni quartieri e non altri, alcune persone o non altre, ma queste storie di cronaca indicano che il degrado che ci circonda è in grado di attraversare il corpo fino ad impadronirsi dello spirito, sino ad annientarlo perché, come scrisse Nietzsche “se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”.

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13 Aprile 2014, 08:11

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