Festino, il ragazzo dell'Ucciardone | "Santuzza mia, fammi la grazia" - Live Sicilia

Festino, il ragazzo dell’Ucciardone | “Santuzza mia, fammi la grazia”

Silvestri Lo Re (a sinistra) e Lollo Franco

Silvestri Lo Re, attore-detenuto, racconta la sua vita com'era e come sarà. Partendo dal Festino...

PALERMO – Ci sono miracoli che accadono sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Un Festino serve anche a vederli; è un’interruzione della cecità che lascia un po’ stupiti di tanta pregressa distrazione. La luce, perfino a Palermo, è un sentimento semplice.

Silvestri Lo Re, detenuto in permesso del carcere ‘Ucciardone’, è uno dei protagonisti del Festinello, la rappresentazione tra devozione e magia che si tiene a piazza Monte di Pietà. Lui fa parte della compagnia di Lollo Franco, il direttore artistico che, da anni, per alcuni giorni alla settimana, varca il portone del carcere, da uomo libero, e sopporta l’intimidazione sonora della porta di un penitenziario che si chiude alle spalle. Infine, laggiù, nel purgatorio delle anime che vogliono la redenzione, insegna l’arte della scena.

Silvestri spiega la sua vita che è cambiata, pure grazie al teatro, e rivolge una preghiera alla Santuzza, l’amata fanciulla che tutto vede e a tutto provvede dal suo monte. Pausa delle prove. I ragazzi dell’Ucciardone, seduti al tavolino, chiacchierano. Silvestri si rilassa, respira. E racconta.

“Mio nonno si chiamava Silvestro e io dovevo avere il suo nome. Ma all’anagrafe scrissero male l’ultima lettera. Però mi chiamano ‘Micione’. Perché? Perché da bambino mi chiusero in un cassonetto, al Borgo, mentre giocavamo, per scherzo. Rimasi lì per un po’, agitandomi, chiedendo aiuto. Mi salvarono i passanti che aprirono, convinti che ci fosse un gatto intrappolato lì dentro. Da qui il soprannome”.

Silvestri-Micione indossa una magliettina bianca e i pantaloni del Napoli: “Ma sono juventino. Vedrai quest’anno con Ronaldo”. Il racconto continua: “Il teatro mi piace, lo amo e mi ha cambiato. Mi ha permesso di riscoprire emozioni belle e la mia parte buona. Ho imparato la serenità, ora non sbaglierò più. Ho due figlie che mi aspettano a casa. Per i miei errori, mia moglie le ha cresciute da sola”.

Ha gli occhi di un ragazzo, Silvestri, che ha trentacinque anni, molti dei quali passati in una cella: “E’ sempre una cosa incredibile quando posso rivedere mia moglie e le mie bambine. Ora sono pieno di speranza. Ringrazio Dio. Ringrazio i compagni che mi sostengono, sono importanti. Ringrazio Lollo Franco. Ringrazio la direttrice, Rita Barbera, una persona speciale, e il personale che ci viene incontro. Ho una preghiera per la Santuzza, che mi aiuti a conservare la mia nuova vita”.

Silvestri non è un esordiente del palcoscenico: presta voce e corpo a Gesù Cristo, nella bellissima Via Crucis che i detenuti dell’Ucciardone organizzano ogni anno, sotto la guida del maestro Lollo. “Le mie bambine, una volta, mi hanno detto: ‘Papà, tu sembri veramente lui. Sembri davvero Gesù’. E io mi sono messo a piangere per la commozione. La cosa più brutta del carcere è la solitudine. Quando uscirò, non sbaglierò mai più, lo ripeto. Lo devo soprattutto alle persone che amo. Mi sono trovato in un giro brutto, da giovane. Riconosco le mie colpe”.

Palermo declina le sue luci studiate in una serata di colori indimenticabili. Ci sono sbarre che possono essere spezzate intorno a esistenze da liberare. Ci sono notti che ti rigiri in un giaciglio da recluso. E sudi e magari preghi. Poi ti risvegli, tutto è finito. Puoi ricominciare.

Al tavolino che ha raccolto le parole di Silvestri, adesso, siede Lollo Franco, conteso dalle mille esigenze del Festino in divenire: “Ho cominciato con il teatro in carcere vent’anni fa al Pagliarelli. Abbiamo realizzato di tutto. Con i ragazzi è facile parlare, conosco il loro linguaggio, so cosa pensano, come sentono. Con Micione, alla prima occasione, abbiamo litigato. Siamo due caratteri forti e io voglio da lui certi risultati, perché ha del talento. La mia soddisfazione più grande? Una volta qualcuno mi ha detto: ‘Ci hai regalato giorni inimmaginabili’. E aveva degli ergastoli sulle spalle. Scusami…”. Il telefonino è bollente.

Palermo si stiracchia, indolente, e si prepara al suo Festino, con i suoi trucchi, le sue malizie e le sue preghiere, con i suoi volti, con i suoi occhi spalancati perché qualcuno ha annusato una speranza grande e luminosa come la gioia che non ha mai avuto. Ci sono fiori da non calpestare agli angoli delle strade e spine da scansare. C’è la Santuzza, la ragazza addormentata sul monte. E fa i miracoli.

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