Mafia di Santa Maria di Gesù | Diciotto condanne, due assolti - Live Sicilia

Mafia di Santa Maria di Gesù | Diciotto condanne, due assolti

Sconti di pena per gli imputati. Il processo nasceva dal blitz del Ros denominato "Brasca"

PALERMO – Cadono alcune aggravanti e arrivano degli sconti di pena al processo di appello ai presunti mafiosi di Santa Maria di Gesù. Venti imputati, diciotto condannati e e due assolti.

Lo spaccato che nel 2016 venne fuori dal blitz dei carabinieri del Ros era quello di una mafia che cercava di fare rispettare le vecchie regole di Cosa nostra. I clan del mandamento palermitano si erano organizzati ripartendo dal passato.

LE FOTO DEGLI IMPUTATI

La sentenza è della Corte di appello presieduta da Fabio Marino. L’accusa era rappresentata dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella. Queste le pene (tra parentesi le condanne di primo grado): Antonio Adelfio 7 anni e 3 mesi (12 anni), Vincenzo Adelfio 9 anni e 4 mesi (14 anni) – gli Adelfio erano difesi dagli avvocati Jimmy D’Azzò e Mimmo La Blasca – Antonino Capizzi 8 anni e 8 mesi (era difeso dagli avvocati Igor Runfola e Giovanni Castronovo e aveva avuto 11 e 4 mesi), Salvatore Maria Capizzi 6 anni (10 e 8 mesi in primo grado, avvocati Marco e Valentina Clementi), Salvatore Di Blasi 6 anni e se mesi (11 e 2 mesi in primo grado, era difeso dagli avvocati Marco e Valentina Clementi), per Stefano Di Blasi confermata la condanna a 4 anni, Francesco Di Marco 6 anni e sei mesi (era difeso da Filippo Gallina e Renato Canonico ed aveva avuto 11 e due mesi), Gaetano Di Marco 6 anni e 4 mesi (difeso Filippo Gallina e Pasquale Contorno, aveva avuto 11 anni e due mesi), per Andrea Di Matteo confermata la condanna a 6 anni, Fabrizio Gambino 6 anni (10 e otto mesi), Alfredo Giordano, ex direttore di sala del Teatro Massimo, 4 anni e 8 mesi (6 anni e 8 mesi), Giovanni Messina 6 anni e 10 mesi (11 anni e 6 mesi), Antonino Pipitone 14 anni e due mesi (17 e 6 mesi), Santi Pullarà 6 anni (difeso dagli avvocati Pasquale Contorno e Rosario Sansone, aveva avuto 10 anni e 8 mesi), Gregorio Ribaudo 6 anni (10 e 8 mesi), Mario Taormina 8 anni e sei mesi (difeso dagli avvocati Rachele Chiavetta e Luigi Miceli, aveva avuto 11 anni e 2 mesi), Giovanni Tusa 6 anni (difeso da Giuseppe Piazza e Fabrizio Biondo in promo grado era stato condannato a 10 anni e 8 mesi), Antonino Carletto 2 anni  e 8 mesi (4 anni e sei mesi).

Gli unici assolti sono Gaspare La Mantia (difeso dagli avvocati Giovanni Rizzuti e Pasquale Contorno, aveva avuto due anni 2; oltre all’assoluzione è stata disposta la restituzione dell’azienda edile che gli era stata confiscata) e Giovanni Piacente (difeso dall’avvocato Corrado Sinatra, era stato condannato a 1 anno e sei mesi).

Un trentennio dopo le indagini della Direzione distrettuale antimafia denominate “Brasca” e “4.0” ricostruirono che gli anziani padrini faticavano parecchio a fare rispettare le vecchie regole. I giovani erano spesso indisciplinati. La base operativa era la marmeria di via Aloi di proprietà dei Di Marco.

LE FOTO DEI SUMMIT

La consegna del silenzio
Ogni uomo d’onore è tenuto a non svelare ad estranei la sua appartenenza a Cosa nostra, né tanto meno i suoi segreti. Mariano Marchese, capomafia di Villagrazia, nel frattempo deceduto, mal digeriva che al suo cospetto si presentassero illustri sconosciuti ma consapevoli del suo ruolo. E non importava se a inviarli era un altro anziano boss, Gregorio Agrigento, capomafia di San Giuseppe Jato. Anzi, era proprio questo che lo innervosiva. Da un anziano si attendeva maggiore cautela ed invece aveva incaricato un paio di picciotti che, senza giri di parole, dicevano: “Abbiamo il mandamento nelle mani noi altri…”. La reazione fu stizzita: “… fermati là… non lo voglio sapere… vai dallo zio Gregorio e gli dici quello che ti sto dicendo io… digli che la finisca…”.

Il funerale lo paga Cosa nostra
Potremmo definirla la mutua di Cosa nostra. Gli uomini d’onore vanno aiutati, da vivi e pure da morti. Le spese del funerale sono a carico della famiglia. In occasione della morte di Gioacchino Capizzi, il figlio Pietro diede per scontato che gli sarebbero arrivati i soldi. L’anziano mafioso di Villagrazia, Vincenzo Adelfio, lo confortò e gli fece sapere che se ne sarebbe occupato Antonino Pipitone: “Mi viene Pietro da me e mi ha detto… ‘Zu Vicè mi dica una cosa…so dice… che quando muore uno un amico nostro… gli fate il funerale’… gli ho detto… vero è!… Gli ho detto… parlane con Nino…”. Alla fine fu Marchese a prelevare tremila e 400 euro dalla cassa”.

Il rito della presentazione
Un uomo d’onore non può presentarsi come tale ad un altro affiliato. Ci vuole un intermediario che garantisca la reale appartenenza all’organizzazione. Ancora una volta sono le parole di Marchese a spiegare come funziona: “Quello è in galera… mi manda un picciutteddu che io nemmeno conoscevo… dice il mandamento è nostro. Minchia lo guardo io… senti qua… gli ho detto… chi ti ha mandato qua… gli dici… dice Mariano… di queste cose non vuole sapere… tu mi mandi un picciotto che nemmeno io conosco… e nemmeno so chi è”.

“Siamo la stessa cosa”
Quando un uomo d’onore fa stringere la mano a due affiliati che non si conoscono deve accompagnare il gesto con la frase: “Chistu è a stissa cosa (questo è la stessa cosa)” per ribadire la comune appartenenza al clan. Così era accaduto per Vincenzo Adelfio, quando conobbe Saro Riccobono. Allora Adelfio era giovane e inesperto: “Mi ha detto che era la stissa cuosa… ho detto… ma che cazzo significa. Me ne salgo… e sono con mio padre perché quel giorno era pure là… Gli ho detto: papà… ma dimmi una cosa… gli ho detto Luciano mi ha presentato… e mi ha detto… dice… “a stissa cuosa” …minchia si gira e mi fa… dice: zitto… non lo dire a nessuno! Perché… che cosa è? Nie… non te lo posso dire! Minchia… ho detto… allora c’è qualche cosa”.

Soldi per i detenuti
I carcerati vanno sostenuti economicamente. Specie quando i parenti devono affrontare spese sanitarie. L’anziano boss ergastolano Benedetto Capizzi, racconta Marchese, “dice che è caduto là… eh… sua moglie ha bisogno di soldi… è una miniera… è caduto ci vuole il busto… camurrie cose… qualche cosa in più… e si devono mandare alla moglie di Benedetto perché se no è vergogna… perché c’è qualche carceratieddu ed è giusto che uno ci deve pensare… dico non ci dobbiamo pensare spesso …ma dico che ci si deve pensare…”.

Vade retro Stato
Quando un uomo d’onore subisce un torto guai a rivolgersi alla giustizia. Le denunce sono bandite. I panni sporchi si lavano in famiglia. L’unica deroga è per i furti di auto. Meglio denunciarli per evitare guai più grossi. Ed esempio qualcuno potrebbe usare la macchina rubata a un mafioso per commettere un delitto. Diverso è quando sparisce un carico di agrumi. Era accaduto a Vincenzo Adelfio e scattò la caccia al ladro: “… è della Guadagna… gli ho detto al geometra… dice … ora parliamo a dice… con… Pinuzzu (Giuseppe Greco, ndr)… gli ho detto io… intanto informo a Mariano (Mario Marchese, ndr)”.

La “moralità” dei boss
Gli affiliati a Cosa nostra non possono avere parentele con gli sbirri. Marchese raccontava a Vincenzo Adelfio un episodio degli anni Settanta quando “là nel portone gli abbiamo fatto la croce… ha fatto a sua figlia fidanzata con… un magistrato…”. Infine, bisogna avere rispetto della famiglia, quella di sangue. Innanzitutto, per le mogli. Ed invece “c’è gente che va appreso alla femmine dei carcerati”. Sarà vero? Di certo qualcuno sentiva l’esigenza di difendersi: “Non ne tocchiamo femmine degli altri”. Ed ancora: “Con quelle sposate non si ci va? Ma perché tuuu… Con quella di là non è sposata? Gli ho detto quell’altra non è sposata? Gli ho detto quelle due cuoffe (brutte) che hai, perché io gli ho detto io lo posso dire che tu hai due cuoffe! Gli ho detto io ho una signora. Tu hai due cuoffe. Gli ho detto, poi… non c’entra niente, non sono sposate? Ma che c’entra. Io sono single. Nooo. Le regole sono per tutti. Non c’entra nulla o single o sposato. Se per te non va, per me non va neanche la regola”.


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